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borsellino salvatore c giannini Il grido di Salvatore Borsellino a Belpasso
di Paola Prezzavento
“Scappare non serve più. Non esiste la città d’Utopia, la criminalità ormai è capitalismo globale, la trovi a Palermo come a Milano, a Napoli come a Torino. La scelta giusta è restare, che è una scelta d’amore”.
Salvatore Borsellino, fratello di Paolo Borsellino, lancia questo monito da Belpasso, paese alle pendici dell’Etna, feudo in passato del famigerato Giuseppe Pulvirenti detto ‘u malpassotu (braccio destra di Nitto Santapaola). Lo fa in occasione del ventiquattresimo anniversario della strage di Capaci e davanti ad oltre duecento persone commosse, intervenute nell’Aula consiliare anche per partecipare alla costituzione dell’ associazione Antimafia e legalità presieduta dall’imprenditore locale Salvo Fiore, che con le sue coraggiose denunce ha fatto arrestare e processare 30 persone dedite all’usura e elle estorsioni, cion un sequestro di beni di circa 21 milioni di Euro.
All’incontro-dibattito, coordinato dal giornalista Luciano Mirone, hanno partecipato anche Anna e Brizio Montinaro (sorella e fratello di Antonio, componente della scorta di Giovanni Falcone perita nell’attentato), Linda Grasso (Scorta civica Palermo), Alfia Milazzo (presidente dell’associazione La città invisibile di Catania), Enzo Guarnera (avvocato penalista) e lo stesso Fiore.
L’intervento del fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio, scalda i cuori anche degli scettici che dicono “dalla Sicilia bisogna scappare, perché non c’è niente da fare”.
Un monito, quello di Borsellino, anche per coloro che, “cresciuti lontano dal sud, credono di potersi cibare da un albero del peccato, un albero con radici al sud, all’ apparenza florido, ma dentro putrido di una linfa di morte che circola alimentando i suoi rami divenuti pezzi della storia dell’Italia unita”.
Il fratello di Paolo Borsellino cita un articolo di Lirio Abbate pubblicato dall’ Espresso:  “Come mi mangio il nord ”, ma avrebbe dovuto affermare – puntualizza – “come il nord, compiacente, raccoglie i frutti marci del sud”.  
“Non ripetete i miei sbagli – dice ancora Salvatore – . Non andate via. Il nord non può più mentire a se stesso, non sanno che stanno mettendosi una corda al collo che prima o poi qualcuno stringerà”.
“Avevo ventisette anni – seguita il leader delle Agende rosse – quando scappai da Palermo, allora grondante del sangue dei morti ammazzati, scia della faida di Cosa Nostra degli anni’ 80. Paolo invece restò per un atto d’amore. Io andai via, a Milano, e oggi faccio il mea culpa: ho aspettato l’ assassinio di Paolo per camminare sulle sue orme”.
“Nessuna possibilità di redenzione per Palermo”, così rispondeva Salvatore alla domanda “Totò perché non torni?” , che puntualmente Paolo – anche pochi giorni prima di morire – gli rivolgeva al telefono.
Falcone era morto da meno di due mesi. Il venerdì prima di via D’Amelio, “fui io – prosegue Salvatore – a implorare Paolo: vai via dalla Sicilia, questi ti fanno a pezzi come hanno fatto con Giovanni. Lui rispose urlando: ‘Tu sei scappato, e adesso chiedi a me di fare la stessa cosa? Io resto!”. Una pausa, un lunghissimo attimo di commozione e poi: “Mi accusava di essere stato vile. Aveva ragione”.

Foto © Castolo Giannini

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