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parco nebrodidi Luciano Armeli Iapichino
Il bosco è la dimora dell’inquietudine per eccellenza sin dalla notte dei tempi. È il topos ricorrente negli incubi degli esseri umani, oltre i limiti anagrafici, tanto da essere osannato dalla letteratura mondiale e dall’industria cinematografica. La poesia ossianica e The Blair Witch Project, per fare qualche esempio, sono la prova tangibile delle oscure e trepidanti fascinazioni che questo spazio lussureggiante e incontaminato veicola.
Incontaminato? Dipende. Se l’inquinamento non è di tipo ambientale ma di natura criminale, allora il bosco, spazio di elfi, streghe e business, è osannato anche dalla criminalità nebroidea. Nella provincia definita “babba”, difatti, quella messinese, insiste un’area, il Parco dei Nebrodi che, se da un lato richiama turisti da ogni dove per via delle sue bellezze faunistiche e floreali, dall’altro attrae, come un immenso polo magnetico, i fondi dell’Unione Europea con modalità non proprio lecite messe in atto da un’organizzazione criminale in apparenza latente. In apparenza. Facendo un rapido flashback nella soffitta dei ricordi, le cosche mafiose che gravitano nell’area in questione, in altre parole i gruppi malavitosi tradizionali tortoriciani e le loro diramazioni in altri centri delle province contigue a quella messinese, sono quelli da cui deriva la sanguinosa guerra di mafia che negli anni ’90 ha flagellato e “sotterrato” nello stesso bosco, “eletto” in quelle circostanze a spazio cimiteriale, decine di vittime della lupara bianca, moltissime delle quali giovani. Una consorteria mafiosa che, prima di una cruenta scissione interna, era vicina alla cosca barcellonese, a quella mistrettese e a quella di San Mauro Castelverde. Oggi, le alleanze sembrano acquisire peculiarità interprovinciali: Catania, Enna e Siracusa.
Allora, il far west scatenato per il controllo del territorio (circa venti i morti in un biennio in questo fazzoletto di terra) dai gruppi storici legati ai Bontempo Scavo e ai Galati Giordano, in lotta per la succulenta torta delle estorsioni sulle attività commerciali e imprenditoriali della vicina Capo d’Orlando e non solo, fu represso dall’operazione Mare Nostrum (1994) e dall’incisiva risposta che lo Stato seppe imprimere dopo l’attentato, in parte riuscito, al Commissariato di Polizia di Tortorici. Le immagini dei cadaveri crivellati sulle auto o semicarbonizzati nelle aree montane sono rimaste impresse nella memoria collettiva che ha relegato, a fatica e nell’oblio, una delle pagine più cruente della mafia tortoriciana.
Oggi il cielo sopra i Nebrodi appare tutt’altro che limpido: la nuvola gravida di pericolo si chiama ecomafia e il business si legge “Unione Europea”. Reati come “il pascolo brado, il mercato nero delle giornate lavorative, gli incendi dei terreni abbandonati”, unitamente connessi a quelli più redditizi legati “all’erogazione dei contributi comunitari da parte dell'A.G.E.A. in favore del settore agricolo e zootecnico”, mostrano chiaramente la longa manus delle organizzazioni criminali nell’area nebroidea. L’attentato al Presidente del Parco dei Nebrodi lo scorso 18 maggio, Giuseppe Antoci, “reo” di aver istituito d’intesa con la Prefettura, linee guida ben definite, convenzioni e protocolli di legalità al fine di evitare il saccheggio illegale dei fondi europei da parte della criminalità zonale è la summa dell’allarme sociale paventato in questi anni e supportato da attività e riscontri di natura investigativa. Oggetto di discussione: “Le particelle catastali non dichiarate ai fini della riscossione dei consistenti finanziamenti comunitari.” È da rilevare che il Protocollo di Legalità, sottoscritto tra la Prefettura di Messina, la Regione Sicilia, L’Ente Parco dei Nebrodi, L’Ente Sviluppo Agricolo e i Comuni aderenti al Parco dei Nebrodi in data 18 marzo 2015, ha lo scopo, oltre di imporre ai soggetti concessionari l’obbligo di “non concedere a terzi la titolarità o l’utilizzo totale o parziale del bene concesso e di denunciare immediatamente all'Autorità Giudiziaria o a quella di Polizia Giudiziaria ogni illecita richiesta di denaro o altra utilità ovvero offerta di protezione o estorsione di qualsiasi natura che venga avanzata nei propri confronti o di familiari” (art.2); soprattutto quello di proteggere da questo fenomeno le imprese che operano nella legalità e che subiscono i danni provocati da coloro che agiscono invece in concorrenza sleale, soprattutto a carico delle piccole e medie imprese individuali più deboli, in particolare di quelle che operano nel settore agro-silvo-pastorale, presenti nei territorio del Parco dei Nebrodi. In verità, le attività che costituiscono la galassia imprenditoriale nel settore agro-zootecnico sui Nebrodi sono in maggioranza scevre da ogni forma d’illegalità e, senza cadere in pericolose generalizzazioni, a volte in guerra con la concorrenza vincente dell’area mediterranea e da una burocrazia spesso mutilante.
All’allarme sociale, dopo l’agguato ad Antoci, (il sindaco del comune di Troina è anch’egli sotto protezione) è seguito l’allarme mediatico divulgato anche dai media nazionali su un’area che, da anni e a fatica, lontana tra l’altro dai circuiti aeroportuali, ha lavorato sommessamente con enti locali illuminati, in intesa con l’associazionismo e il volontariato, creando opportunità di lavoro e servizi al suo interno, fruibili e apprezzati (ne sono un esempio il Parco Avventura nel Comune di Longi, i percorsi naturalistici attrezzati disseminati ovunque, i Working Days a tema, il dinamismo espositivo), ma che, di fatto, rischia di invalidare l’affidabilità in termini di sicurezza conseguita agli occhi di potenziali partner e investitori. L’azione criminale è il boomerang nefasto che rischia di ricadere come ostacolo sgradito sulle opportunità occupazionali messe in cantiere anche dalle nuove generazioni. Il bosco, di fatto, torna a far paura soprattutto in termini di paventata ecclissi sul sistema economico nel futuro dell’intera area. Il mondo continua ad accelerare in direzione III Millennio; questa terra, di contro, continua a restare imbrigliata e impantanata nella zavorra degli egoismi di certa malavita che non si è accorta, e mai lo farà, per mancanza di strumenti etici e culturali, dell’evoluzione dei tempi. Una malavita che, senza la connivenza di certi addetti ai lavori operanti nei C.A.A., Centri di Assistenza Agricola, o che abbiano accesso al S.I.A.N., Sistema Informatico Agricolo Nazionale, terrà sotto scacco una terra desiderosa di riscatto e di orizzonti al passo con i tempi.

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