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asta nontiscordardime cdi Rino Giacalone
Nel corso dei 31 anni che sono trascorsi dall’attentato destinato al magistrato Carlo Palermo (insediatosi 40 giorni prima a Trapani) e che invece uccise una donna, Barbara Rizzo di 31 anni, e i suoi due figlioletti Giuseppe e Salvatore Asta di sei anni, si è passati da una negazione totale dell’esistenza della mafia all’affermazione della sua sconfitta. Il comune denominatore tra il 2 aprile di allora e di oggi è che “la mafia non esisteva ieri e non esiste neppure adesso”.
Sabato scorso, il luogo della strage di Pizzolungo è stato trasformato nel “parco della memoria e dell’impegno civile”, grazie all’impegno dell’attuale sindaco di Erice, Giacomo Tranchida, e di varie associazioni come Libera e l’Anm. A dare impulso a questo progetto, il desiderio di Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime: una bambina che è dovuta crescere in fretta per fronteggiare non solo il dolore improvviso, ma anche chi le rivolgeva l’accusa di “famigliare che strumentalizza il proprio dolore”.
Il parco ha dunque preso vita in occasione del 31esimo anniversario della strage: all’interno, una struttura ospiterà la sede del coordinamento provinciale di Libera; all’esterno, un parco giochi per famiglie, sotto l’egida del “Non ti scordar di me”, e un laboratorio dove sarà possibile ammirare una mostra curata dall’architetto Giancarlo Figuccio e realizzata dagli studenti dell’Alberghiero di Erice. Qui si svolgeranno, durante tutto l’anno, incontri e manifestazioni. “Pizzolungo, il ricordo della strage – ha detto Margherita Asta – non deve servire per emozionarci, ma deve servire per capire come il sacrificio di tanti non può restare vano, e rischia di restare vano se ciascuno di noi nelle attività quotidiane non si impegna concretamente e non a parole. La mia storia privata, quella di Carlo Palermo, quella degli agenti Antono Ruggirello e Salvatore La Porta è diventata una storia di riscatto; questo è un luogo da riempire di vita, adesso ci sono dei giochi, trattiamolo come se fosse una casa comune. Qui possiamo ricordare tutte le vittime delle mafie che ci ricordano come non scendere a compromessi con nessuno. Possiamo farlo soltanto se ciascuno di noi si impegna nell’agire quotidiano, si impegna concretamente e non a parole, perché altrimenti è inutile venire qui in occasione dell’anniversario”.
Il 2 aprile a Pizzolungo nel nome di Barbara, Salvatore e Giuseppe, ma anche del pm Palermo, degli agenti della scorta Nino Ruggirello, Salvatore La Porta e Raffaele Di Mercurio (quest’ultimo è deceduto per un infarto alcuni anni dopo l’attentato), è stata chiesta ad alta voce la  “verità”. La giornata non era soleggiata, ma ad illuminare Margherita Asta sono stati tantissimi giovani arrivati all’appuntamento, tra cui il baby sindaco di Erice Claudia D’Amico – “siamo noi il tuo sole”, ha detto rivolta a Margherita – e Lorenzo Pintauro, baby sindaco del Comune bolognese di Castello D’Argile, che ha alzato la voce dicendo che i giovani di mafia non vogliono più sentir parlare: “Noi giovani ce ne vogliamo liberare”. E ancora: delegazioni di Libera arrivate da Pieve di Cadore e da Parma, l’associazione intitolata a Barbara Rizzo, Giuseppe e Salvatore Asta e Michele Giovannini e Giuseppe Paolini, sindaci rispettivamente di Castello d’Argile e Isola del Piano, che hanno sottolineato l’importanza della rete e della lotta alle mafie.
“Nessuno ha la ricetta per sconfiggere la mafia, ma sicuramente ognuno di noi può fare qualcosa – ha aggiunto Salvatore Inguì referente di Libera Trapani – perché per noi la parola memoria non è mai disgiunta dalla parola impegno. In questo luogo in cui due bambini hanno parso la vita, altri da oggi potranno giocare e fare diverse attività. Gli fa eco Gregorio Porcaro, referente regionale di Libera Sicilia: “Da qui vogliamo tornare a respirare aria di liberazione, mettendoci in gioco con tutti questi ragazzi che hanno oggi adottato il parco dedicato a Barbara, Salvatore e Giuseppe”.
Il deputato Davide Mattiello, membro della Commissione Parlamentare antimafia, si è chiesto “perché Cosa nostra si diede da fare per uccidere un magistrato che era arrivato a Trapani da poche settimane? Quanto hanno pesato le indagini che Palermo aveva cominciato a Trento e che riguardavano il traffico internazionale di armi e droga? Quanto quelle indagini avevano messo in allarme un certo mondo politico che benedicendo quei traffici, traeva illecito sostentamento per i partiti? Quanto quelle indagini incrociarono le piste battute da altri due morti ammazzati, Mauro Rostagno e Ilaria Alpi? A queste domande la giustizia italiana non ha mai risposto. Ora l’Italia fa bene a pretendere verità e giustizia per la morte di Giulio Regeni, fa bene a non accontentarsi di ricostruzioni lacunose e di comodo. Fa bene ad ipotizzare depistaggi. Ma si guardi anche in casa questa Italia! C’è una legge ferma in Senato da quasi due anni, approvata in prima lettura dalla Camera. Ci sono processi che si stanno chiudendo con probabili sentenze tombali su situazioni destinate a lasciare spalancati abissi di angoscia: Capaci e Via D’Amelio. Punire e prevenire i cosiddetti ‘depistaggi’ significa semplicemente battersi per un potere che sia democratico e non oligarchico, dominato da consorterie potenti e opache quando non criminali”.
Nel processo per la strage di Pizzolungo, Vincenzo Virga e Totò Riina furono condannati come mandanti; Balduccio Di Maggio e Nino Madonia furono individuati e condannati per essersi occupati dell’approvvigionamento del tritolo. A due anni dalla strage furono condannati gli esecutori, tutti alcamesi a cominciare dal lattoniere di Castellammare del Golfo Gioacchino Calabrò, ma per loro giunse un’assoluzione in Cassazione. Anni dopo si scoprì che quei condannati erano i mafiosi esecutori della strage, ma per quella assoluzione definitiva è stato impossibile processarli nuovamente. Calabrò, in un altro processo fu solo condannato per la ricettazione dell’auto usata come autobomba a Pizzolungo. Una strage senza verità ma segnata da tante tracce a cominciare da quel tritolo che proveniva da un deposito militare. Lo stesso tritolo usato per l’attentato al Rapido 904, per attentare al giudice Falcone all’Addaura nel 1989, per far strage di Paolo Borsellino e della sua scorta nel 1992 in via D’Amelio. E le tracce portano alle connessioni tra mafia, massoneria, servizi segreti deviati.

Tratto da: narcomafie.it

Foto © Joe Pappalardo

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