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rizzotto jr placidoIntervista
di Marta Pellegrini
Porta il suo stesso nome. Ha la sua stessa vocazione alla lotta. Da Placido Rizzotto zio a Placido Rizzotto nipote, il passo è breve, appena di qualche decina d’anni, quelli che li separano. Non è un caso che, in occasione dei funerali di Stato tributati al sindacalista ucciso nel 1948, sia stato proprio lui a celebrare il discorso funebre più toccante. Anche per questo, abbiamo voluto sentire la sua voce.

Placido Rizzotto ha ricevuto i funerali di Stato il 24 maggio 2012 a Corleone. In occasione del suo discorso lei ha detto “non passi mai più la mafia”. Che cosa significa, oggi, parlare di Placido Rizzotto?
Sicuramente Placido Rizzotto ha lasciato un’eredità di impegno civile di grande risonanza a livello nazionale. Fin dai primi tempi, dopo il suo rapimento e uccisione, la vicenda ha destato l’attenzione. Placido Rizzotto è stato uno dei 36 sindacalisti uccisi dalla mafia da dopo la Seconda guerra mondiale. È stato d’esempio per molte persone. Nella mia vita ne ho conosciute molte che si sono appassionate all’attività sindacale proprio perché da ragazzi avevano sentito la storia di zio Placido ed erano stati colpiti dall’impegno sociale, dalle lotte per l’emancipazione dei lavoratori e contro la mafia.
Parlare di Placido Rizzotto, però, vuol dire non parlare solo di Placido Rizzotto. Significa parlare di Pio La Torre, per esempio. Proprio lui è stato, infatti, il sindacalista che lo ha sostituito a Corleone, alla testa del movimento contadino. Significa parlare di Carlo Alberto dalla Chiesa, allora giovane capitano dei Carabinieri a Corleone, che grazie all’esempio di zio Placido ha potuto capire cos’era, come si presentava e come agiva la mafia in Sicilia.
Parlare di Placido Rizzotto significa parlare delle cooperative che oggi operano sui beni confiscati e di cui una porta il suo nome, non a caso.
Parlare di Placido Rizzotto oggi, significa anche usare strumenti nuovi. Quello che ha fatto Pasquale Scimeca, con il suo film; quello che ha fatto Carlo Lucarelli, che a zio Placido ha dedicato uno speciale di Blu Notte. Anche grazie a loro, Placido Rizzotto ha continuato e continua a parlare ancor oggi: nella società, nelle scuole, nei cinema, alle famiglie.
Dei funerali di Stato, invece, ricordo la partecipazione, la forte commozione. Un giovane sindacalista ucciso 64 anni fa, scomparso, ritrovato, e che finalmente otteneva un giusto riconoscimento da un Paese intero. Averli celebrati a Corleone ha avuto un fortissimo valore pratico e simbolico. Perché Placido Rizzotto ha davvero contribuito a riscattare Corleone. Ma Corleone non sono solo i mafiosi. Corleone è Bernardino Verro, Corleone è I Siciliani, Corleone è un luogo dove, da sempre, da quando è nata la mafia, si è sviluppata l’antimafia. L’antimafia sociale, quella fatta dalla gente.

I sindacalisti siciliani dell’epoca chiedevano il rispetto della legge e soprattutto dei loro diritti. Nel secondo dopoguerra si contano moltissimi di loro uccisi. Qual era il contesto storico dell’epoca?
Purtroppo la mafia ha sempre puntato sull’appoggio e le connivenze dei potenti. Potenti che prima sono stati i baroni, poi gli agrari, quindi, dal dopoguerra in maniera evidente, alcuni referenti politici. Questo gli ha assicurato impunità e garantito libertà d’azione. Io dico spesso che la prima vera trattativa tra le istituzioni e la mafia è avvenuta nel secondo dopoguerra, tra il ‘45 e il ‘48, gli anni cruciali della ricostruzione sia materiale sia sociale di un Paese che la guerra aveva sventrato. Nei primi anni Novanta, molto dopo, c’è stata una sorta di ‘rinnovo contrattuale’: erano cambiate molte cose, erano sicuramente cambiati gli equilibri e i rapporti di forza e subalternità, soprattutto da dopo la caduta del muro di Berlino. E dunque bisognava rinnovare (e in certi casi rimodulare) i rapporti. Da qui la trattativa stato-mafia come se ne parla oggi, accompagnata dalle stragi. Forse una parte della politica voleva scaricarsi di questo peso, della mafia, ma chiaramente questa ‘non ci stava’ e ha lottato per mantenere intatto il proprio potere e la propria posizione, riaffermare i rapporti, chiamiamoli, di collaborazione.

Placido Rizzotto è diventato un simbolo molto importante per chi lotta per i propri diritti. Come vede lei, oggi, la situazione del bracciantato e il problema del caporalato in Sicilia?
Purtroppo nel corso degli anni la situazione è andata peggiorando in maniera progressiva ma costante. Molte lotte, molte rivendicazioni, alcuni principi fondamentali della classe operaia e bracciantile sostenuti dal sindacato (e in particolare dalla Cgil) fin dagli anni Cinquanta, sono venuti meno. Negli anni in cui l’Italia è stata in pieno sviluppo economico, i diritti dei lavoratori sono stati più o meno rispettati, pur con una controparte padronale che ha sempre cercato di imporre comunque un rapporto asimettrico con i propri dipendenti. Da vent’anni a questa parte, si è perso molto terreno nella lotta per i diritti. Molti sono stati demoliti, le tutele sono diminuite. La manodopera migrante, poi, costituisce un ricco patrimonio per chi fa dello sfruttamento del lavoro la base del proprio profitto. Il caporalato, che va sempre ricordato essere un fenomeno antico, sta prendendo di nuovo piede, in certa misura in maniera addirittura peggiore che in passato. Siamo tornati indietro di un secolo. Registriamo vere e proprie condizioni di schiavitù imposte ai migranti. Condizioni inaccettabili si impongono anche a lavoratori siciliani, pugliesi, calabresi, che, se vogliono lavorare, devono accettare la retrocessione di alcuni diritti. Le mortificazioni sono all’ordine del giorno. La conseguenza è uno squilibrio sempre più evidente tra pochi ricchi sempre più ricchi e molti poveri ormai alla fame.

Il 21 marzo, quest’anno, in quanto familiare di vittima di mafia, lei sarà a Messina? Che cosa si aspetta?
Il 21 marzo è ormai una tradizione che è nata con Libera. Libera ha fatto una grande cosa, permettendo l’incontro fra tante persone, familiari di vittime innocenti delle mafie, che vivevano in maniera isolata il proprio dolore, perduti, spesso arresi, nei propri territori. Quegli stessi territori dove, nella maggior parte dei casi, camminano ancora liberi gli assassini dei propri cari. Con l’incontro, Libera ha messo in condivisione le esperienze, le storie, le fragilità, ma ha anche creato e saldato le lotte per la verità. Le esperienze di ciascuno di noi sono utili anche agli altri, per dare coraggio e forza. In questi giorni, ad esempio, abbiamo supportato Vincenzo Agostino, nel riconoscimento in aula dell’ex-agente segreto che viene indicato come ‘faccia di mostro’. Forse, se Vincenzo Agostino fosse stato solo non avrebbe avuto la forza o il coraggio di continuare per 10 anni questa lotta.
Quest’anno saremo tutti insieme come tutti gli altri anni, ci saranno manifestazioni in diverse città italiane. Noi saremo a Messina, anche con la presenza di don Ciotti che è il grande uomo e l’ispiratore che ha saputo portare avanti questa battaglia nel nome di tutti noi.

Tratto da: narcomafie.it

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