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costa mario prem vergani 2009di Loris Mazzetti
Con Mario Costa, per tutti Roberto, non se ne va solo un grande giornalista, un fratello, ma anche un po’ di noi: di me sicuramente. Chi ha avuto la grande fortuna di lavorare nelle sue redazioni ha imparato che prima di tutto bisogna essere resistenti alle ingerenze della politica, contro le censure di ogni tipo, combattere per la libertà di espressione e l’indipendenza dei giornalisti, anche per questo è stato, sin dall’inizio, un amico di Articolo21. Senza retorica, Roberto è stato un giornalista come quelli raccontati nei film americani, sigaretta in bocca, bicchiere di whisky accanto alla macchina da scrivere, la valigia sotto la sedia, sempre pronto ad essere testimone del tempo per raccontare una storia nuova, in Vietnam oppure a Cassino, non aveva importanza: il giornalista va dove i fatti accadono. Sono pochi quelli che ho conosciuto in grado di dettare un pezzo senza averlo scritto come se fosse stato scritto: Roberto era uno di questi e l’altro era Enzo Biagi. Roberto è stato un capo molto generoso, non geloso del suo essere grande talento (come disse di lui Angelo Guglielmi quando lasciò la Rai), un talento mai ostentato, pronto a scrivere una breve come fosse un editoriale, maestro del mestiere.

Non per niente è stato, quello che in gergo giornalistico si chiama un “uomo macchina”. Fare un tg è complesso, non si esaurisce con la decisione: “Questa sera parliamo di…”, bisogna assegnare i servizi, organizzare le riprese, i montaggi, i collegamenti nazionali e internazionali. Roberto era un carro armato produttivo. Lo sapevano bene i direttori con cui ha lavorato, quelli che lui ha considerato tali: Enzo Biagi, Villy De Luca, Ugo Zatterin e Andrea Barbato con il quale ha condiviso il glorioso Tg 2 Studio Aperto. Inviato speciale, caporedattore, vicedirettore, entrato in Rai nel 1959 dopo il praticantato alla Nazione di Firenze. Un duro, facile allo scontro con il potere, che gli veniva anche bene. Un esempio di giornalista dalla schiena dritta. Nel 1994, dopo aver rifiutato la proposta di dirigere Rai3 perché lui, soprattutto la sua storia, non avrebbe potuto avere a che fare con nomine uscite da un governo presieduto da Silvio Berlusconi.

Da capo della redazione del tg della Lombardia indisse una raccolta di firme (inviate al presidente della Repubblica Scalfaro) contro il nepotismo e la dipendenza politica della presidenza Moratti, chiedendone le dimissioni. Fu Enzo Biagi ad aprì la lunga lista che Indro Montanelli pubblicò integralmente sulla Voce. La dipendenza della Rai da Berlusconi e da Mediaset era totale. Carlo Rossella, direttore del Tg1, un giorno lo chiamò per dirgli di mandare qualcuno ad Arcore per ritirare una cassetta registrata dallo staff con una dichiarazione del premier da mettere in onda nel tg delle 20. Roberto gli disse che avrebbe mandato una troupe con un giornalista per un’intervista all’ex Cavaliere, perché la Rai non era un pony express. Quante risate ci facemmo sull’imbarazzo di Rossella. Questo era Roberto Costa. Oltre ai numerosi programmi diretti: da Tv7 a Di Tasca nostra (con Tito Cortese), a Il circolo delle 12, mi piace ricordarlo come il compagno vero, leale, generoso, il duro dal cuore tenero col quale abbiamo intensamente lavorato ma ci siamo anche tanto divertiti.

Ovunque sia Roberto ora, come avrà preso le misure, sicuramente organizzerà anche lì un nuovo tg.

I funerali saranno sabato alle ore 11 a Milano in Sant’Ambrogio.
(2 marzo 2016)

Tratto da: articolo21.org

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