di Enza Galluccio
La società e ogni sua complessità si fonda su specifiche fonti conoscitive: le testimonianze. Esse ci permettono di condurre una vita normale garantendoci quelle conoscenze essenziali per compiere ogni nostra azione, dalla soddisfazione di bisogni primari alla consapevolezza della nostra identità. Nessuno dubiterebbe mai della loro attendibilità e necessità.
Ci sono poi testimonianze diverse, molto meno ovvie e garantite, tuttavia unico anello di collegamento con altre verità che a catena si tirano l’un l’altra fino a giungere alla descrizione più o meno dettagliata di una certa situazione, restituendoci quadri storici inquietanti.
Spesso quelle testimonianze, pur spesso giustificate da prove, per gran parte del nostro sistema d’informazione e delle istituzioni coinvolte diventano a sorpresa narrazioni fantasiose di menti disturbate o particolarmente egocentriche. Succede quindi che si ritenga opportuno non diffonderne la notizia oppure, quando ciò risulta essere impossibile, si fa in modo che essa venga percepita come se portasse con sé una conoscenza arbitraria e poco degna di considerazione.
Così solo pochi s’azzardano a parlarne e si cerca di restringerne il campo di diffusione fino a renderle materia per individui isolati o denigrabili.
Sono queste le testimonianze processuali. Mi riferisco nello specifico alle infinite verità che, di volta in volta, emergono in alcuni processi chiave come quelli siciliani di Palermo sulla trattativa Stato-mafia e di Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio e sulla strage di Capaci.
È di questi giorni la notizia (forse meglio definirla “testimonianza offuscata”) della deposizione di Massimo Ciancimino al processo di Palermo; figlio del mafiosissimo sindaco democristiano Vito e autore delle prime rivelazioni sull’esistenza della trattativa tra uomini delle istituzioni e la mafia. Massimo Ciancimino, dopo un breve periodo di clamore, da anni vive l’oblio del silenzio di ogni organo d’informazione.
Eppure Ciancimino jr parla per testimonianza diretta, cioè frutto di un’esperienza conoscitiva vissuta in prima persona e non mediata da alcuno, quindi tra le più garantite e in parte già confermata da prove e da rivelazioni di pentiti e collaboratori di giustizia.
Non scenderò nello specifico di ogni dichiarazione fatta, altri giornalisti hanno trattato in modo approfondito tali argomenti anche se le notizie escono solo in quelle testate che da sempre svolgono un ruolo determinante nell’informazione libera.
Quindi focalizzerò la mia attenzione su alcune di queste, descrivendone sinteticamente i contenuti, perché già di per sé sufficienti ad una conoscenza adeguata dei fatti.
Penso innanzitutto alla latitanza di Bernardo Provenzano. Essa fu garantita in cambio di una gestione, post-Riina e corleonesi, meno violenta e più disponibile a scendere a patti e a collaborare.
Poi, come nel celebre film di Nanni Moretti, penso a quel Caimano che si vide piovere sulla testa valigie cariche di denaro. Secondo quanto raccontato dal testimone/imputato, quei soldi erano frutto di affari e accordi stipulati con uomini di Cosa nostra.
Infine, penso al misterioso “signor Franco”, uomo cerniera per garantire le comunicazioni tra mafiosi e personaggi politici legati a istituzioni e uomini nei servizi. Figura onnipresente nelle memorie giovanili del figlio di don Vito che lo colloca a fianco di Luciano Violante, Oscar Luigi Scalfaro e, come si evince da verbali della Procura nissena privi di omissis, anche di Giorgio Napolitano e Gianni De Gennaro (anche se nell’ultima versione Ciancimino non cita più quest’ultimi).
Dunque il signor Franco è uomo che rappresenta le istituzioni, pertanto, non solo trattativa ci fu (come hanno già confermato altre sentenze e atti processuali), ma essa rappresentò un atto volontario non eccezionale né occasionale, ma consueto e parte di un sistema di relazioni e modalità politiche.
Tale sistema risulta essere precedente al periodo delle stragi italiane del ‘92/’93 e testimonierebbe una normalità gestionale da loggia massonica, in grado di manipolare e deviare eventi sulla base di logiche strategiche affinché ogni forma di potere e controllo politico rimanesse in specifiche mani.
Massimo Ciancimino e il valore della testimonianza
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