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sigfrido ranucci 280x300Intervista a Sigfrido Ranucci
di Elisa Marincola

Una settimana fa denunciavamo il pesante clima di indirette intimidazioni contro un cronista d’inchiesta di grande valore come Lirio Abbate pronunciate dall’avvocato di Carminati e dei Fasciani. Oggi ricostruiamo un altro caso di quotidiane intimidazioni a cui è sottoposto da anni un altro cronista di razza. Parliamo di Sigfrido Ranucci, coautore di Report, e questa volta le intimidazioni vestono i panni delle querele sistematiche, reiterate, in alcuni casi addirittura preventive, sempre temerarie.

Il ruolo del cronista diventa sempre più sgradito, e non solo ai mafiosi o ai regimi dittatoriali. In Italia, alla vigilia delle celebrazioni per i settant’anni della Repubblica nata dal voto del 2 giugno 1946, che pose fine alla monarchia e diede vita all’Assemblea Costituente, compiere il proprio dovere di raccontare la verità è diventato quasi impossibile per i giornalisti d’inchiesta. Non è un caso se è una categoria che va assottigliandosi, nonostante l’entusiasmo di tanti giovani, come dimostra il successo, riconfermato anche quest’anno, del Premio Morrione per il giornalismo d’inchiesta rivolto proprio a chi non ha ancora compiuto 31 anni.
Quanto sia difficile ce lo racconta Sigfrido Ranucci, autore, con Milena Gabanelli, di Report, programma di giornalismo investigativo di Rai 3 giunto alle soglie dei vent’anni di vita.
Ranucci, che è a Report da quasi dieci anni, ha alle spalle una lunga esperienza nella squadra di Roberto Morrione e ha firmato, con Maurizio Torrealta, una delle inchieste di maggior successo in assoluto della tv, “Falluja la strage nascosta”, che nel 2005 ha costretto gli Stati Uniti ad ammettere l’uso del fosforo bianco nei bombardamenti sulla città irachena in mano ai ribelli. Un video che ha fatto il giro del mondo, suscitando un caso internazionale per la violazione della convenzione Onu che vieta l’uso di armi chimiche sui civili. Per questa e per il suo lungo lavoro investigativo Ranucci è stato pluripremiato.
Eppure, affrontare il gigante americano è stato più semplice che raccontare i lati oscuri del nostro paese. Lo abbiamo incontrato nella redazione di Report a Roma.

Quando hai ricevuto l’ultimo avviso di querela?
Tra Natale e Capodanno. Agli altri arrivano cartoline d’auguri, a  me arrivano querele e richieste di risarcimento danni. Ne sono state recapitate tre, due proprio la vigilia di Natale, un altro il 31, e ognuna per un’inchiesta diversa, anche di anni fa. Ho i brividi quando suona il postino.

Ma quali sono le imputazioni più ricorrenti?
Naturalmente l’accusa di diffamazione è praticamente fissa. Per un’inchiesta su Verona, mi viene contestato addirittura il millantato credito e la sostituzione di persona, perché non ho detto di essere un giornalista, pur avendo io precisato che stavo realizzando un servizio di informazione. E in più ci sarebbe la diffamazione semplicemente perché ho riportato le dichiarazioni degli stessi accusatori, tutte documentate in video naturalmente.

In pratica, sotto accusa c’è il cosiddetto giornalismo sotto copertura, una forma di racconto indispensabile per un cronista investigativo che non può fermarsi al rifiuto opposto ormai in modo quasi sistematico quando in ballo c’è una storia poco chiara. La stessa Corte europea di giustizia si è pronunciata sulla validità di registrazioni nascoste quando si tratta di notizie di interesse generale. Ad oggi qual è la vicenda giudiziaria che ti impegna di più?
Quella riguardante l’inchiesta “L’Arena”, dedicata all’amministrazione di Verona e al suo sindaco Tosi. Per cercare di fermare la messa in onda di quell’inchiesta hanno usato le querele come “armi di distruzione di massa”: ne hanno fatte quattro preventive, prima della trasmissione e altre quindici dopo. In tutto diciannove querele per una trasmissione di 36 minuti, presentate in ben quattro procure diverse, la stessa Verona e poi Padova, Venezia e Roma, credo sia un record mondiale. A causa di una poi, ho subito anche una richiesta di rinvio a giudizio in appena diciotto giorni, sulla base di file video che si è dimostrato essere stati manipolati, per fortuna me ne sono accorto in tempo. Ed è finito tutto in archiviazione.

Sembrerebbe esserci un “fumus persecutionis” anche in una parte della magistratura. Possibile che accolgano qualsiasi querela? I magistrati inquirenti non verificano?
Non penso a “un fumus persecutionis” ci mancherebbe. La magistratura ha un ruolo fondamentale e mi batterò per conservare e difendere la sua indipendenza. Quello che noto però, forse a causa del troppo lavoro a cui sono sottoposti, in alcune richieste di rinvio a giudizio, alcuni pm operano un semplice “copia e incolla” dal ricorso presentato dalla parte civile, senza compiere un solo atto d’indagine, che andrebbe fatto anche in mia difesa in quanto indagato.
Si è arrivati al paradosso che ho ricevuto querele da persone che non avevo neppure mai citato negli articoli. Uno dei fronti più assurdi riguarda un articolo che ho firmato per Report Extra e per il  Corriere della sera sulla presunta trattativa tra Stato e Mafia. Mi ero limitato a riportare la notizia che un maresciallo dei carabinieri con diverse note d’encomio al suo attivo, capo scorta del giudice Nino Di Matteo, aveva denunciato formalmente alla procura di Palermo di essere stato ripetutamente fermato nelle indagini per individuare prima il covo di Provenzano e poi quello di Matteo Messina Denaro. Non ho mai citato i nomi degli ufficiali che lui denunciava. Eppure mi sono piovute cinque querele in varie parti d’Italia. E nonostante  il Tribunale di Bari abbia già archiviato su richiesta del pm, perché il fatto che ho raccontato è veramente accaduto, sono alla sbarra  in altre quattro procure, con dispendi di energie e denaro. Mentre Matteo Messina Denaro è ancora libero dopo 30 anni! In pratica, un giornalista non è più libero di esercitare il suo diritto dovere di informare l’opinione pubblica sulle denunce presentate da uomini delle forze dell’ordine, su un fatto di grande attualità.

Ranucci ha totale di circa quaranta querele tra civile e penale in vari gradi. Ma come ti muovi tra tutti questi processi?
Passo il mio tempo libero a scrivere memorie per difendermi dal mio lavoro. Una quarantina sono ancora in piedi, una ventina sono state archiviate e continuo a incrociare le dita. Le richieste di risarcimento danni in ambito civile sono un buco nero. Ne ho accumulate per oltre 61 milioni di euro, una follia! Noi abbiamo la tutela legale che copre le spese processuali, ma poi, se perdi per dolo (e puoi perdere solo per dolo nei fatti), la Rai, come qualsiasi editore, giustamente, si può rivalere sull’autore del servizio. Finché alle spalle ho la Rai e avrò la possibilità di difendermi, non ho timori, sono certo di aver sempre agito nell’interesse pubblico e di aver sempre documentato ogni mia inchiesta, nel rispetto del pubblico e della mia azienda. L’unico pensiero che ho, e che mi toglie il sonno, è cosa succederà alla mia famiglia se dovesse accadere qualcosa a me. Perché la tutela legale è per il solo dipendente. Chi la difenderà dall’aggressione dei miei accusatori? Non sarebbe neppure una novità visto che è già successo al mio vecchio e compianto direttore Roberto Morrione.

Tratto da: articoli21.org

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