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dondero marioVideo
di Paolo Matteo Maggioni
Mario Dondero ha sempre volato altissimo e se n’è andato, ex partigiano, la sera in cui la sua amata Francia ha respinto il Front National di Marine Le Pen. Ottantotto anni, genovese e genoano, fotografo di intensità rarissima, amava definirsi “compagno”, nel senso più alto e politico possibile, quello di una etica irrinunciabile, che partiva dal rispetto per la fotografia in bianco e nero, per la qualità, per i soggetti che andavano raccontati con dolcezza e dignità.

Era impossibile non accorgersi di Mario, quando arrivava in un luogo. Fosse una radio indipendente, una pizzeria, una libreria o il Parlamento. Amava parlare con chiunque. Chiedere come andava, ma non per attaccare bottone, perché gli interessava davvero. Poi fotografava tutti. Non c’era bisogno di chiedere di sorridere: lo facevano già tutti, ammaliati. Cantava in francese ma anche il canzoniere partigiano: una volta in coda in macchina, 25 Aprile del 2012, l’amico Tommi ed io godemmo di un concerto di tre ore buone, sul sedile posteriore, di un Mario euforico che aveva appena rivisito i suoi compagni della resistenza. Abbiamo benedetto l’arrivo dell’autogrill, ma solo per la salute delle nostre orecchie: l’anima invece era salva. Allo stadio si esaltava per il Genoa e mi ricordo di aver discusso con lui di Criscito.

Un terzino non certo indimenticabile che Mario considerava un campione, proprio lui che aveva fotografato George Best il giorno dopo la vittoria della Coppa Campioni del ‘68 (non ancora sbronzo). Alla domanda su quale fosse la sua foto più bella rispondeva sempre “la prossima” (anche se quella dell’albero della cuccagna, a suo dire, tecnicamente era la più difficile) e non dimentico quanta delusione avesse provato in uno dei suoi continui viaggi in treno, quando aveva smarrito una delle sue Leica preferite. Mario fu uno scrittore per immagini e proprio gli scrittori erano pazzi di lui. Pasolini, su tutti. Un amico vero. L’unico a cui consentì di scattare l’immensa dolcezza del poeta per la madre Luisa, in quella foto in cui sembrano cosi lontani, cosi vicini. E poi, l’istantanea essenziale del nouveau roman, che mise in fila allo stesso muro, come in ricreazione, Beckett, Duras e altri scrittori cruciali per la letteratura del Novecento.  Che tempismo Mario, partire adesso. Proprio mentre la tv, che non hai mai cercato, si accorge di te, manda in onda documentari, escono raccolte e ricordi del tuo lavoro.



Io non dimentico lo scatto a cui sono più legato. Quello che facesti a Franco Basaglia, a Gorizia, la sigaretta a mezza bocca, seduto in mezzo ai suoi pazienti. Gente di cui si prendeva cura. Mimetizzato e umanissimo. “Non mi interessa la bella foto, mi interessa l’incontro” dicevi, con quella democrazia di spirito per cui intellettuali ed ultimi andavano raccontati con la stessa intensità. Usai quella frase per la mia tesina da giornalista. Ti chiamai per comunicarti che avevo passato l’esame, che avevo preso il tesserino e mi dicesti che eri fiero di me. Dalle foto bellissime del tuo archivio ci hai quasi solo smenato. Regalandone in giro, spedendole agli amici, dimenticando i borderò, un po’ come quando a Milano vivevi giovanissimo in una pensione di Brera, gestita dalla mitica signora Tedeschi. In camera con te Ugo Mulas, in quella affianco Luciano Bianciardi e Maria Jatosti, con l’incessante tichettio di una macchina per scrivere che macinava traduzioni su traduzioni. Funzionava cosi, mi avevi detto, Mario: fai le foto, ma non hai i soldi per svilupparle. Allora si corre al banco dei pegni, si vende la macchina, si prendono i soldi e si portano a sviluppare i rullini. Poi si va al giornale, si spera di vendere le foto. Se va bene si torna al banco dei pegni, si ricompra la macchina, e con quello che avanza si fa il signore, per uno o due giorni. Con Mulas dividevi un paio di scarpe buone, uno solo. Uscivate con le ragazze una sera a testa, alternativamente. Per fortuna avevate lo stesso numero di piede. Mancherai, Mario. Ma che bello averti conosciuto.

P.S. Il saluto di Fermo a Mario sarà mercoledi prossimo, nel pomeriggio. Un abbraccio a Laura, l’instancabile compagna di questi ultimi anni, al suo gallerista Arialdo, e a Marco Cruciani, il documentarista che ha dedicato a Mario anni di viaggi comuni e un bellissimo road movie. Si chiama “Calma e gesso”, e sta girando per cineteche e club. “Se dovessi rispondere a chi mi chiede quali siano le qualità essenziali per sopravvivere in questo difficile ruolo da franco tiratore” raccontava Dondero “calma e gesso, gli direi, come i giocatori di biliardo”.

Tratto da: articolo21.org

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