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borsellino corteodi Gianluigi Placella
Il silenzio ha parlato alla piazza S.S. Apostoli piena, sabato 14 novembre a Roma. Il silenzio di raccoglimento doveroso e doloroso, per le morti ingiuste di Parigi ed il silenzio esplicito e minaccioso che circonda la persona e l'azione di Nino Di Matteo. Gli interventi dal palco di Salvatore Borsellino, Imposimato, Beha, Lodato, Sandra Amurri, Vauro, Ingroia e tanti altri hanno detto che chi non sta al fianco di chi doverosamente e coraggiosamente cerca la verità, sta dall'altra parte. “Il silenzio è dolo” ha cantato Marco Ligabue. Solo Pietro Grasso sabato ha comunicato per lettera la sua solidarietà. Tutte le altre istituzioni tacciono e a Palermo, che ascolta attenta ed interessata, il loro silenzio comunica dissenso, isolamento, abbandono. Come se non bastasse, oltre ad ostentare silenzio, altri come Napolitano, hanno addirittura ostacolato in tutti i modi il percorso giudiziario dell'indagine ed il percorso professionale di Di Matteo sollevando un devastante conflitto di attribuzione, altri, il CSM, avviando procedimenti disciplinari e respingendo la sua richiesta legittima di trasferimento alla Dna, con l'effetto di sommergerlo di processi per furti in appartamenti e distoglierlo così dal processo sulla trattativa. Esattamente il trattamento a suo tempo riservato a Falcone e Borsellino. 
Ancora, incredibilmente, in silenzio resta anche un presidente della Repubblica che ha avuto il fratello ucciso da quegli stessi poteri che minacciano Di Matteo che vuole scoprirli. Perché tace, perché non lo sostiene? Che compiti gli ha affidato Napolitano? Eppure grazia un assassino, perché? Per compiacere Calderoni che ha ritirato i suoi cinquecentomila emendamenti alla "deforma" della Costituzione? Uno scambio? E se no, come può, allora, avere sensibilità e vicinanza umana per l'assassino e non per chi gli assassini, anche di un suo familiare, con grave rischio personale, li persegue? A chi stiamo obbedendo? Da chi ricevono ordini? Perché ci provocano queste domande, questi dubbi sulla legittimità dei loro ruoli istituzionali? Come non pensare al silenzio come omertà? E il capo del governo che trova il tempo per le finali di tennis a New York e non per scrivere due parole o uno dei suoi tanti tweet a sostegno di un magistrato condannato a morte? Le domande sono legittime, le risposte sono dovute a chi, come noi, ha conosciuto gli armadi della vergogna, a chi come noi, secondo Costituzione, crede che senza verità non può esistere libertà né democrazia. E' tempo di resistenza per i nuovi partigiani.


Tratto da: 19luglio1992.com

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