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alonzo annaParla la missionaria dopo l’aggressione alla Guadagna: “Per aiutare i più deboli ho anche occupato un edificio”
di Romina Marceca
Sessantasei anni, missionaria da 21, varca il cancello del centro “Arcobaleno 3P” alla Guadagna con passo deciso. I ragazzini della borgata sono già lì, a tirare calci al pallone sul campo di cemento. «Anna è stata ammazzata », le urlano dietro e lei risponde con una smorfia. Eccolo il fortino della suora che raccoglie per strada i senzatetto, garantisce un pasto alle prostitute e organizza corsi di decoupage per anziani e donne del quartiere: un asilo abbandonato in via Villagrazia. «Non chiamatemi suora coraggio, suora degli ultimi, per piacere», sbuffa lei. Tutto è abusivo qui. L’allaccio alla rete elettrica e quello per l’acqua. «Ebbene sì — ammette lei — ma questa struttura dell’opera pia Ipab è stata abbandonata e nel quartiere c’è tanto bisogno di spazi per i ragazzini e per quelle famiglie che non riescono a mettere insieme il pranzo con la cena».

Suor Anna quello spiazzale e quei locali lasciati per anni a spacciatori senza scrupoli li ha notati quattro anni fa, dalla finestra del Mir, il movimento internazionale della riconciliazione del quale fa parte. «Me li sono presi e basta», dice lei senza mezzi termini. E’ iniziata così l’avventura del centro che si regge anche sulla preziosa collaborazione di operatori volontari. A giorni inizierà un corso d’informatica, quello di pittura ha già preso il via. «A noi non ci aiuta nessuno, non credo più nelle istituzioni — dice la missionaria — e la mia unica speranza rimane il nuovo vescovo. Tutto quello che vedete qui arriva da piccole donazioni. Le sedie le ho raccattate io col mio pulmino all’Agenzia delle entrate. Un mio amico mi aveva ventilato che il direttore le stava cambiando perché voleva sedie nuove e tutte dello stesso colore. Cose da pazzi ». E i computer? «Questi diciamo che ce li ha donati la Regione», ride.
Nella sala per i ragazzi ci sono tre bambine delle elementari, una volontaria le aiuta con il doposcuola. Ma c’è anche una signora di circa 50 anni. E’ qui che lei ha imparato a scrivere.
«Guardate lì, quel capanno. Era un ammasso di eternit. Lo abbiamo tolto noi con le mascherine sulla bocca. E quelle persiane in alluminio verde tutte danneggiate? Le abbiamo cambiate non so quante volte, ma i bambini qui rubano le listarelle delle persiane e le vendono un euro l’una a un uomo che fa la raccolta del ferro. Se vi dico il nome qui m’ammazzano», agita una mano mentre cammina accanto ai muri coi murales dove c’è anche padre Pino Puglisi.
La suora esclude che l’aggressione di sabato scorso sia legata al suo lavoro sul campo. «Per me erano due tossici», dice. Amarezze e qualche gioia da quattro anni contraddistinguono la vita di questo centro illegale che si batte per la legalità. «Qui accogliamo tutti — racconta Francesca Messina, una delle operatrici — ma sono stata io a buttare fuori un ragazzino arrivato con un coltellino in tasca ». E ad agosto è stato Roberto, altro volontario, a sorprendere i ragazzini che hanno sfregiato il quadro di padre Pino Puglisi. «Qui i raid sono continui, la Guadagna vuole farci capire che anche questo pezzo di quartiere è loro», dice Francesca.
Suor Anna però non si è mai abbattuta. «Avevo messo in piedi pure gli scout, andavo casa per casa a prendere i ragazzini. Non capivo quale fosse la resistenza dei genitori. Poi ho saputo che per la Guadagna gli scout sono stupidi perché portano i calzoni corti. Cose da pazzi». E giù con le accuse a chiunque le ha negato un aiuto: «Il parroco prima ci ha fornito l’acqua e poi ce l’ha tagliata. L’-I-pab ha alzato il muro attorno a un parco giochi, rivendicandone la proprietà. Lo abbiamo buttato giù tre volte, poi ci siamo arresi».
Sono le 17, una donna ben vestita e profumata arriva al centro. «Ho letto la storia di suor Anna, mio marito è un imprenditore e vogliamo donare tutto quello di cui avete bisogno », dice la signora mentre i volontari la circondano e elencano di tutto. È l’inizio di una nuova storia, un piccolo germoglio nella terra dell’indifferenza.

In foto: suor Anna Alonzo

Tratto da: La Repubblica del 6 novembre 2015

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