di Enza Galluccio
Un anno fa scrivevo un articolo dal titolo impregnato di un ristagno d’ottimismo “Di Matteo non è solo”.
Ovviamente non mi riferivo al sostegno che sarebbe stato doveroso da parte delle istituzioni e del mondo politico, dato che si parla di quel magistrato che ha attirato le attenzioni di tutta Cosa Nostra e, ovviamente, di coloro che provano fastidio per chi si ostina a cercare la verità dei fatti. Anche quelli scomodi, come quella rete di poteri intrecciati che definiscono i veri sistemi criminali italiani di cui la trattativa tra lo Stato e la mafia è solo il sintomo, la punta di un iceberg.
Per Di Matteo sono arrivati da tempo centocinquanta chili di esplosivo, ben nascosti nel silenzio di Palermo. Sempre per lui, Riina si è fatto sentire dal super carcere di Parma mentre passeggiava con la sua “dama di compagnia”, il recluso Alberto Lo Russo esperto in comunicazioni cifrate con l’esterno e presunto uomo cerniera con i servizi segreti. Per questo magistrato Riina ha mostrato il pollice verso della condanna a morte.
In quell’articolo mi riferivo alla “lucidità e la rabbia di coloro che fermamente lo hanno sostenuto e difeso, dagli uomini della scorta a tutti quei cittadini italiani – non solo siciliani – che hanno gridato più forte che potevano, perché gli fosse garantita un’adeguata protezione anche attraverso l’uso del bomb-jammer”. Usavo queste ed altre parole dure, con la consapevolezza di convivere con il muro di gomma di un sistema deviato e manipolatorio, che spazia dall’informazione fino ai più alti vertici del potere istituzionale.
Erano già passati i tempi del clamoroso intervento dell’ex presidente della Repubblica Napolitano contro la Procura di Palermo, in particolare Antonio Ingroia e lo stesso Di Matteo, titolari delle indagini di quello che oggi chiamiamo processo sulla trattativa Stato-mafia che si sta svolgendo a Palermo. Allora l’ex pm Ingroia decideva di dire basta a quella carriera ricca di passione che aveva svolto anche al fianco di Paolo Borsellino, esausto di respirare l’aria malsana di questo Paese che lascia morire i suoi servitori migliori e isola, denigra chi cerca di proseguire il loro lavoro, nella vana speranza di sentire ancora quel “fresco profumo della libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” [Paolo Borsellino] che solo uno stato ancorato alla cultura della legalità può garantire.
Oggi Di Matteo non è soltanto il magistrato più a rischio, ma è anche quello sulla cui faccia si chiudono tutte le porte, è il testimone diretto dell’incuranza mirata dell’intero sistema di informazione, asservito a questo o quel governo di turno, egli è il simbolo della ricerca di una Giustizia sana negata e messa a tacere con i mezzi più beceri.
Dunque, oggi più che mai, il magistrato Nino Di Matteo ha bisogno della presenza e delle parole di tutti noi, per questo nasce l’iniziativa del 14 novembre a Roma da parte delle Agende Rosse e di Scorta Civica, per rompere quel silenzio omertoso che ci vorrebbe tutti passivamente distratti e appiattiti nell’inutilità quotidiana della strabordante spazzatura che propongono i media.