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shobha langelo su palermodi Laura Scatizzi
E’ passato qualche giorno da quella mattina di fine agosto, le parole di Shobha risuonano ancora nelle mie orecchie, passano per i miei occhi e arrivano dritte al cuore per vie sconosciute e nuove. Più che un’intervista è un monologo, fatto di parole e immagini, di pensieri e vita, di sensazioni ed emozioni, attraverso le quali Shobha ci prende per mano e ci porta nel suo mondo.

Grazie Shobha per il tuo lavoro illuminante e grazie per la bellezza del tuo sguardo che arriva dritta all’anima. Grazie per averci concesso quest’intervista, è un grande onore averti qui con noi. Che cosa rappresenta per te la fotografia e che cosa ti ha insegnato?

Non è una domanda semplice e quindi non è una risposta facile perché la fotografia non è separata da me. Qualsiasi cosa che io faccio per esprimermi è parte di me. La fotografia è un mezzo, è un canale, dove io posso esprimere chi sono realmente ed è un modo anche per conoscere me stessa, per vedermi; è come se la fotografia fosse un mezzo per comunicare con la terza dimensione, di cui io spesso parlo, che è la dimensione dell’inconscio. Dove non c’è programma, dove niente è bello e niente è brutto, dove tutto è senza giudizio, dove insomma c’è un grande spazio incontaminato. Io cerco con la fotografia di arrivare in questo spazio. Attraverso un mezzo fatto di numeri e pixel io esprimo una parte di me che il mio corpo non può contenere: la mia anima. Ecco, la  fotografia è il linguaggio che contiene la mia anima. Non sto parlando della fotografia di reportage in cui io racconto le donne per dare loro dignità. Quella è un dono, un contributo alla terra, un atto d’amore: una vita dedicata a portare fuori le storie che hanno bisogno di luce, perché non puoi lasciarle nell’ombra, altrimenti muoiono. La fotografia di cui ti sto parlando e che è sempre più vicina a me e che mi permette di volare e mi libera è quella legata al mio pensiero e alla mia crescita personale, alla ricerca della vita e dei perché. Lasciami dire che è meraviglioso perché attraverso questi piccoli mezzi tecnici, attraverso simboli,  linee, movimenti tu buchi l’immagine e vai oltre e arrivi all’infinito. Ecco, io arrivo all’infinito, è una grande soddisfazione che azzera tutto. Questa è la mia esperienza.

E ancora di più…

La fotografia è un percorso di guarigione. E’ lo spazio dove puoi scavare ad oltranza e arrivare alla libertà. La fotografia, l’arte e la poesia possono cambiare il mondo, la sua frequenza. Viviamo in un mondo violentissimo e orribile. C’è solo una regola etica che bisogna portare avanti ed è la consapevolezza di quello che stai creando perché una foto può distruggere e una foto può portarti in frequenze più alte. . L’immagine è potente, una fotografia quando la guardi può arrivare dritta al cuore e commuoverti, farti innamorare, oppure può farti arrabbiare. E’ un linguaggio potente, molto più forte delle parole quindi bisogna sempre essere consapevoli dove si dirige la propria energia.  La fotografia ti fa attraversare tutto. E’ come essere in analisi. In questo senso è uno strumento di crescita e di guarigione. Quando lavoro con i miei studenti durante i miei workshop (il prossimo che ho in programma alla Triennale di Milano e’ dedicato a meditazione e fotografia) cerco di indicare un nuovo punto di vista: non sei tu che vai alla luce ma  sei tu che diventi la luce e che vedi il mondo con la luce. La fotografia la crei tu con un punto di vista diverso. E’ tempo che l’essere umano faccia un salto quantico. Questo pianeta ha bisogno di persone più sagge che non facciano solo belle foto ma che cambino la frequenza del mondo attraverso immagini più profonde. Immagini che raccontano di ciò che abbiamo bisogno su questa terra. Per capirci se tu fotografi un bambino, non puoi fare il bambino di Pitti Immagine ma fotografi il mistero del bambino. Ecco perché i fotografi e le persone come me, devono, possono indicare con il dito dove sta la luna…Durante i miei corsi cerco di trasmettere la mia gioia e la mia allegria, la mia dedizione, la mia gratitudine per ogni scatto che faccio e lascio che le persone inizino un percorso di guarigione dalla nascita ad oggi. Attraverso la fotografia sei tu che porti luce nel buio. 

Chiedo a Shobha se pensa che le persone disabili con cui lei ha lavorato, usando la fotografia come strumento di terapia, abbiano uno sguardo più puro…

Lo sguardo puro…ti dico si e no. Quando inizi a lavorare con i ragazzi disabili, ti rendi conto che sono pieni di informazioni. Gli è stato detto, da sempre e continuamente, quello che possono o non possono fare. Devi quindi fargli sentire che tu rompi tutte le regole, che sei ribelle. Io dico loro, oggi tu puoi fare tutto quello che senti, io ti do l’ok, rompiamo tutte le regole, vediamo cosa c’è dietro a queste regole.

Ti do un nuovo spazio…

Si! Proprio così. Non è la purezza ma un nuovo spazio dove loro sono liberi. Quindi c’è il pianto, c’è il riso, c’è la festa, c’è l’amore. Tu li accogli così come sono. Non gli dai regole per dieci minuti, poi un’ora, e così via…in quel tempo loro iniziano ad avere un rapporto con te di fiducia, energetico, di gioco che è quello che devo avere io, noi tutti, quando viviamo la nostra vita: di gioco, di osservazione, di consapevolezza. Questa è la cosa più importante: gli hai fatto vedere qualche cosa di nuovo che possono portare con loro. Se tu potessi sentire i video finali di ringraziamento ti emozioneresti. Dicono cose meravigliose di me ma in fondo parlano di loro stessi: “grazie a Shobha, non la scorderò mai, mi ha dato la possibilità di fare tutto, io lì non ero malato…”. Tutto questo, solo perché gli hai fatto vedere che esiste un altro spazio. Questo è quello che faccio anche con le persone normodotate durante i miei workshop. Le persone non sanno che possono sconfinare, nessuno te lo dice, e proprio attraverso la fotografia e con essa, iniziano ad andare in giro e a guardare le cose, il mondo, le persone, in un altro modo. Sono inf

ormazioni che si mettono in tasca e che gli serviranno nella vita. Io non voglio cambiare il mondo, desidero solo far vedere, perché anch’io ho avuto questo dono, che si può andare oltre. Uso i mezzi artistici da sempre cercando di rompere le regole per trovare l’infinito. Naturalmente l’infinito non lo trovi mai ma trovi sempre nuovi spazi. La fotografia è un mezzo per saltare dentro queste nuove dimensioni. Abbiamo bisogno, il mondo ne ha bisogno, di nuove visioni. Dobbiamo fare le cose, intensamente, trascenderle e creare nuovi spazi.  

www.shobha.it

Foto courtesy Shobha, L’angelo su Palermo

Tratto da: unaltrastoria.net

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