di Enza Galluccio - 19 luglio 2015
Aula Magna della Corte d’Appello di Palermo, commemorazione dell’Associazione nazionale magistrati per il ventitreesimo anniversario della strage di via D’Amelio, presenti anche il presidente della Repubblica Mattarella e i ministri Alfano e Orlando.
E’ eccezionalmente presente anche Manfredi Borsellino al quale è riservato l’onore di aprire questo caldo pomeriggio di memoria. “Presidente, io sono qui per lei!” Manfredi si è rivolto esclusivamente al Capo dello Stato, ed è solo per la sua presenza che ha deciso di rompere la chiusura nei confronti di ogni sorta di commemorazione in onore di suo padre. La voce spesso rotta testimonia un’emozione difficile da arginare. Qualche parola per ricordare a Mattarella quanto Paolo provasse stima nei suoi confronti, poi subito affonda la lama nella ferita aperta delle ultime intercettazioni - la cui esistenza è smentita dalla Procura, ma rivendicata come vera dal settimanale l’espresso - a carico di Tutino, chirurgo molto vicino al governatore Crocetta, il quale affermava che Lucia Borsellino doveva essere fatta fuori come il padre.
Da subito precisa che la sorella non è affatto sorpresa da quanto accaduto, da tempo il clima era per lei insostenibile, le illusioni rispetto ad una “sanità felice” come lei sognava erano finite, spente. Parla di una lettera di denuncia che la Borsellino aveva presentato e che era stata ignorata. Per Manfredi è insopportabile l’insofferenza ed il silenzio che hanno circondato l’intera vicenda; qualunque sia la verità che ne scaturirà, non potrà mai modificare l’intero contesto, drammatico e vergognoso.
Parla senza filtri, le lacrime hanno la meglio. Arriva quasi a dichiarare l’intenzione di chiedere un trasferimento, ma è il senso del dovere ad impedirgli di lasciare la Sicilia, la sua terra, quella per cui suo padre è morto nella speranza di vederla cambiare.
L’aria è surreale, alla fine il Presidente si alza per primo e l’applauso è generale, sentito.
Poi il procuratore generale Roberto Scarpinato porta in aula memorie vive, quasi fotografie. Ricorda il giorno del funerale di Giovanni Falcone, Paolo portava sulle spalle la bara dell’amico. Cita poi le sue parole, pesanti come pietre “Quella è la sorte che ci attende, voi siete ancora ragazzi, e avete il diritto di scegliere se andare o restare…”.
Quelle parole, così come la morte di Falcone prima e di Borsellino dopo 57 giorni, furono una calamita non solo per quei giovani magistrati già presenti a Palermo, ma anche per molti altri che iniziarono a chiedere di poter essere collocati nella città delle stragi.
Scarpinato conclude invocando una verità non ancora raggiunta, quella sugli autori di quelle morti. È evidente che il Procuratore generale si riferisce a dei mandanti non ancora presenti in nessuna aula di tribunale come imputati. È evidente che vuole lanciare una provocazione, ma nessuno si scompone e la cerimonia va avanti.
Si conclude con l’intervento del ministro dell’Interno Alfano il quale, dopo essersi elogiato più volte, arriva a dire che per proteggere i magistrati sono state messe in atto tutte le risorse, dimenticando forse la lunghissima vicenda relativa al bomb jammer per il pm Di Matteo, il magistrato più a rischio in questo momento.
Infine, l’intervento del ministro della Giustizia Orlando che elogia ancora l’operato del governo in tema di giustizia e di legalità.
Anche quest’anno, come tutti quelli precedenti, non una parola a sostegno dei Pm del processo di Palermo sempre più nell’occhio del ciclone e sempre più lasciati a se stessi nel dramma delle continue minacce sempre più occulte e velate.
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