di Francesco Bertelli - 7 luglio 2015
Si sa che d'estate l'informazione spesso e volentieri va in ferie. In questo Paese allora potremmo dire che è sempre estate. Infatti, se facciamo caso alle due importanti novità delle ultime due settimane, di loro, non troviamo alcuna traccia nei tg. Notizie che, a mio modestissimo parere, in un paese normale avrebbero dovuto trovare spazio anche sulla carta stampata (unica eccezione: Il Fatto Quotidiano). Quel che troviamo invece è poco o nulla.
Due notizie diverse fra loro ma inquietanti al stesso modo.
A fine giugno e inizio luglio si scopre che il pentito Luigi Giuliano al processo sulla trattativa parla e torna a percorrere la storia di tre personaggi legati indissolubilmente tra loro: Vittorio Mangano, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi.
Giuliano rivela che il Mangano aveva avuto molte volte intenzione di collaborare con la giustizia, ma che poi per paura e per minacce si era tirato indietro. Secondo il pentito, le minacce che Mangano e la sua famiglia ricevevano provenivano “da un potente della politica”: Dell'Utri.
Berlusconi e Dell'Utri “erano la stessa cosa, me lo diceva Mangano: Berlusconi-Dell'Utri-mafia, un stesso sistema criminale. Mangano voleva farmi intendere che la mafia aveva questa potenza con loro”.
La conoscenza fra Giuliano e Mangano risale agli anni 70, per poi vederli detenuti insieme nel 1999 nel carcere di Secondigliano a regime del 41 bis.
Parole pesanti quelle di Giuliano: “Mangano conosceva tantissime cose e più volte ha fatto riferimento a Berlusconi e Dell'Utri, Mangano mi disse che la carriera politica di Berlusconi, era la prosecuzione di quella di Andreotti”.
Viene in mente la sceneggiata del 2008 con Dell'Utri e Berlusconi sul palco dei fedelissimo del Popolo delle Libertà, con l'allora presidente del Consiglio che lodava le gesta di Mangano definendolo un eroe per non aver parlato. Lode all'omertà mafiosa.
A volte sembra anche stancante tornare a parlare del passato di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, ma forse ci sfugge che l'allora braccio destro del Presidente del Consiglio, nonché fondatore di Forza Italia, oggi si trova in carcere per la condanna definitiva a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Quanto a Berlusconi, inutile stare a soffermarci sulla sua riabilitazione avvenuta con il famigerato “Patto del Nazareno”.
Insomma, confessioni, quelle di Giuliano, che potevano essere riportate in primo piano sui tg nazionali. Come non detto.
L'altra notizia, giunge sempre dal processo sulla trattativa fra Stato e mafia e apre un sipario su un scenario sempre poco approfondito del periodo stragista: la Falange Armata. Questo era il nome dei rivendicatori degli omicidi e stragi eccellenti avvenuti in Italia fino al 1993.
A parlare come testimone è l'ex Capo del Cesis Francesco Paolo Fulci. La sua è un'analisi schietta, frutto anche di un'indagine personale.
Quelle telefonate che tra il 90 e il 93, rivendicavano ogni fatto di sangue, partivano dalle sedi coperte dal Sismi.
Chi c'era dall'altra parte del telefono? Chi è la Falange Armata? Domande che non hanno mai avuto una risposta.
Fulci riporta un dato da lui scoperto: quelle telefonate sarebbero state fatte dalle stesse zone in cui in quel periodo il Sismi aveva localizzato le basi periferiche.
C’era questa storia della Falange Armata e allora incaricai questo analista del Sisde, si chiamava Davide De Luca (oggi deceduto ndr), gli chiesi di lavorare sulle rivendicazioni. […] Dopo alcuni giorni De Luca venne da me e mi disse: questa è la mappa dei luoghi da dove partono le telefonate e questa è la mappa delle sedi periferiche del Sismi in Italia, le due cartine coincidevano perfettamente, e in più De Luca mi disse che le telefonate venivano fatte in orario d'ufficio”.
Quale sarebbe stato il motivo di queste rivendicazioni? Fulci va per ragionamento. Un ragionamento lucido e disarmante. Collega il tutto alla stagione della tensione e quindi alla rete STAY BEHIND. Quindi Gladio, organizzazione militare segreta costituita in ottemperanza al Patto Atlantico.
Ma le rivelazioni di Fulci non si sono fermate qui. Quando era ai vertici del Cesis, scopre che dentro alla VII divisione del Sismi esisteva un gruppo speciale composto da 15 agenti segreti super addestrati: gli Ossi (Operatori Speciali Servizio Italiano). Secondo quando rivelato da Fulci, c'era solo questa cellula segreta con agenti addestrati per svolgere guerriglia urbana, creare caos, seminare bombe, commettere omicidi.
Ecco che quindi riemerge una struttura parastatale che forse non ha mai smesso di agire. Il nome Falange Armata infatti, è tornato protagonista in una lettera rivolta a Totò Riina nel dicembre 2013, nel periodo in cui il capo dei capi cominciò a parlare su Via D'Amelio e in seguito a progettare un attentato nei confronti di Nino Di Matteo. In quella lettera, menti raffinatissime, consigliavano a Riina (si, avete capito bene, il temutissimo e sanguinario Totò Riina) ti fermarsi a parlare, di non andare oltre: “Riina chiudi la bocca, ricordati che i tuoi familiari sono liberi, al resto ci pensiamo noi”.
Chi sono dunque quei 15 agenti supersegreti? Un nucleo specializzate nel seminare scompiglio, piazzare ordigni. Agenti che secondo le ricostruzioni di Fulci, sono coinvolti anche nelle bombe del 1993, quelle stragi che spesso si dimenticano ma che si vede lontano un miglio che la loro composizione non è formata solo da Cosa Nostra. Anche in quel caso, la rivendicazione ha un nome: Falange Armata.
Di fronte a ciò, al collegamento, per la prima volta effettuato e provato anche da documenti, tra Servizi Segreti e Falange Armata, l'opinione pubblica dei media tace.
Aggiungiamo per finire la doverosa interrogazione parlamentare che i Cinque Stelle (Sarti, Ferranesi, D'Uva) hanno proposto al Ministro della Giustizia Orlando, chiedendo di sapere a che punto ci si trova su depistaggio avvenuto in Via D'Amelio. In aggiunta i tre parlamentari chiedono ad Orlando di conoscere i progressi (se di progressi effettivamente si può parlare) in merito al procedimento per calunnia ai tre funzionari di polizia Ricciardi, Bo e Salvatore La Barbera, i quali facevano parte del gruppo investigativo “Falcone e Borsellino” guidati dal capo Armaldo La Barbera, autore del depistaggio. Notizia anche questa che non compare e ci fa capire ancora una volta in più (come se non fosse già abbastanza chiaro) che viviamo in un Paese con una democrazia controllata.
In compenso però, trovandoci nel mese di luglio, prepariamoci ad assistere alle sfarzose manifestazioni di “legalità” in ricordo della strage di Via D'Amelio in cui vennero fatti a pezzi Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Se le istituzioni avessero intenzione di commemorare l'evento, sarebbe opportuno che ci rinunciassero ad andare in tv accaparrandosi a chi arriva primo, le gesta di un servitore dello Stato, che, grazie alla complicità istituzionale, è stato eliminato per la semplice colpa di aver fatto il suo dovere senza guardare in faccia a nessuno. Altrimenti ci aspetta la solita farsa televisiva.