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gang-c-getty-imagesdi Deborah Dirani - 26 maggio 2015
Eccola qua la meglio gioventù educata alla prepotenza, istruita alla prevaricazione. Eccola che prende a sassate una ragazzina fragile della sua disabilità e si nasconde dietro all'omertà del silenzio davanti a un inaudito volo dalla finestra. Eccoli qui i nostri bravi ragazzi: futuri medici, ingegneri, parlamentari e avvocati. Eccoli bravissimi a farsi forti delle debolezza intravista, incapaci di empatia e compassione, di dignità e sincerità. Sono tutti figli nostri. E noi, tutti, siamo pessimi genitori. Perché c'è poco da dire, e ancor meno da giocare a nascondino con un dito, non abbiamo fatto un buon lavoro.

Non lo abbiamo fatto insegnando loro che i deboli sono un peso sociale che fa scappare la pazienza, che costa troppo e non dà niente in cambio. Che la disabilità, quella che ci siamo premurati di chiamare con nomi sempre più politicamente corretti ma che in fondo continuiamo a disprezzare, è imperfezione e a questo mondo l'imperfezione è destinata alla sconfitta. Che chi resta indietro non va aspettato, ma isolato, lasciato a languire con la faccia per terra e gli occhi al cielo a guardare con rimpianto e angoscia le ali di chi ha spiccato il volo. C'è da andare lontano, se non hai le ali stattene lì, buono e silenzioso, non tentare di aggrapparti a me: mi rallenti e io ho fretta, ho una vetta da raggiungere.

Tutto quello che assomiglia a un ostacolo all'ascesa sulla montagna del successo va asfaltato, spianato. Ad ogni costo, anche se il costo è un patto perverso con la coscienza. Noi lo abbiamo insegnato ai nostri figli: abbiamo insegnato che è meglio girarsi dall'altra parte, far finta di niente davanti a una donna che viene picchiata dal marito e le cui urla trapassano i muri, o davanti a un poveraccio che chiede l'elemosina incorniciato dalle luci di una vetrina brillante di opulenza. Abbiamo insegnato ai nostri figli ad essere in gamba, autonomi e vincenti. Ci siamo dimenticati di insegnare loro ad essere onesti, empatici e umani.

Abbiamo innalzato a valore indiscutibile la gioventù, dimenticando che essere giovani non è un privilegio, ma una semplice condizione anagrafica. I vecchi li lasciamo morire da soli, con un gatto magro come unica compagnia. La gioventù è forza, ricorda le infinite possibilità della vita, tutte da cogliere, nessuna da lasciare indietro. La vecchiaia è la fatica della vita che va a finire, è la pesantezza di tante giornate già vissute e poche ancora da vivere. La gioventù è un fisico scattante, asciutto, sano, bello, talmente perfetto che non accetta niente di diverso da sé, meno perfetto di sé. E allora chi è grasso è solo un ciccione sfigato, chi è incastrato in una sedia a rotelle è solo un paralitico, chi è ammalato è solo un miserabile.

Ci siamo scordati la lezione principale: la dignità della sconfitta, e il risultato di questa imperdonabile dimenticanza sono i bulletti che prendono a sassate una ragazzina che è sconfitta dalla sua stessa condizione di disabile ma che è degna di amore, sorrisi e comprensione come ogni altro essere umano. Ci siamo scordati anche di insegnare ai nostri figli l'importanza della responsabilità, di farsi avanti, di dire: "sono stato io" e pagare tutte le conseguenze del proprio errore. Abbiamo cresciuto bestioline permalose alle quali tutto va perdonato, c'è sempre qualcuno sul quale addossare la colpa, e quel qualcuno non è mai giovane, bello e sano. La colpa è della scuola, dei professori, degli immigrati, degli zingari, della politica o di qualche Dio irraggiungibile.

Abbiamo fallito noi: e loro, i nostri feroci figli, sono il futuro che ci aspetta. Pagheremo i nostri errori di genitori comprensivi con altri ragazzini che volano senza ali da una finestra troppo alta per non morire e con altre bambine con la faccia sporca di terra e lacrime e moccio. E pagheremo noi, sulla nostra pelle, quando sarà raggrinzita di rughe e giorni passati, quando chiederemo di avere indietro la comprensione che abbiamo tanto generosamente elargito e in cambio avremo una faccia scocciata e un gomitolo di scuse che non sapremo dipanare. Per cui perdoneremo ancora quella incapacità di amore e di empatia, perdoneremo la vigliaccheria e giustificheremo, per l'ennesima volta, l'aridità dei nostri figli.

È colpa nostra, di tutti noi, se oggi c'è una bambina traumatizzata dalla carogna dei suoi coetanei e se c'è un ragazzino che a 19 anni si ritrova con una lapide sulla testa e il silenzio nelle orecchie. Non basta indignarsi per la cronaca nera di mostriciattoli adolescenti, bisogna prenderli per un orecchio questi mostriciattoli, anche se sono carne della nostra carne (soprattutto se sono carne della nostra carne) e poi riempirgli quelle stesse orecchie della nostra rabbia e delusione. Perché c'è solo una cosa vera nell'elogio della gioventù: per lei ci sono infinite possibilità di migliorare e trasformarsi in una buona maturità. Ma questa possibilità dipende da noi che siamo i genitori della meglio gioventù.

Tratto da: huffingtonpost.it

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