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di Elena Ricchitelli* - 2 maggio 2015

“Memoria, verità e giustizia": tre valori su cui si fondano le vite dei magistrati che i docenti del Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” di Bisceglie definiscono “Padri della patria” e che vorrebbero fossero esempi per i loro alunni. I "modelli da seguire" che la società attuale offre ai giovani sono esigui: un Paese, il nostro, nelle mani di gente senza scrupoli che amaramente antepone gli interessi individuali a quelli pubblici. Al contrario meritano davvero di essere considerati tali coloro che hanno il volto di chi lotta ogni giorno per la legalità e per l'onestà, principi ormai pressoché irraggiungibili. Gli studenti del Liceo pugliese, grazie ad un progetto chiamato “Mafia…in itinere”, svoltosi nella scuola in cui peraltro insegna Tiziana Palazzo, vedova del dott. Sergio Cosmai, direttore delle carceri di Cosenza ucciso trent'anni fa dalla ‘Ndrangheta, hanno potuto conoscere dettagliatamente i meccanismi interni di Cosa Nostra ed essere informati riguardo ai suoi legami sporchi con quella parte di stato corrotta ed affamata di potere.


Lezioni, film e incontri hanno raccontato le vite di cittadini comuni che sono diventati “eroi” semplicemente perseguendo ideali di lealtà e rettitudine. La tappa finale del progetto è stata un viaggio nella meravigliosa e antica Sicilia, dove gli studenti hanno concretizzato la loro esperienza scolastica guardando con i loro occhi il posto in cui Paolo Borsellino è stato cruentemente ucciso in via d’Amelio, sacrificato sull'altare della cosiddetta trattativa Stato-mafia; visitando a Cinisi la Casamemoria "Peppino Impastato" e l'appartamento in cui Gaetano Badalamenti decise la sua morte. Peppino e suo fratello Giovanni immaginavano che ci fosse una distanza di "cento passi" tra le loro case, e sulla via grondante di storia che le unisce oggi ci sono delle "mattonelle d'inciampo" su cui sono incisi pensieri, frasi, poesie in ricordo delle vittime di Mafia. Toccante e commovente è stato leggere ciò che lungimirante scriveva Impastato: "Appartiene al tuo sorriso l'ansia dell'uomo che muore, al suo sguardo confuse chiede un po’ d'attenzione, alle sue labbra di rosso corallo un ingenuo abbandono, vuol sentire sul petto il suo respiro affannoso: è un uomo che muore". Peraltro è stata consegnata dagli alunni del Liceo anche la mattonella in memoria di Sergio Cosmai. Una storia paradigmatica quella del delitto eccellente del biscegliese: il potere ‘ndranghetistico non usa il piombo per arricchirsi, preferisce rimanere nascosto dietro coni d'ombra, coltivando un rapporto anomalo con le classi socialmente dominanti. Se dunque nell'’85 è arrivata a tanto, vuol dire che si è sentita profondamente minacciata, impotente, debole, sfidata da un uomo che aveva come unico obiettivo quello di far rispettare la legge. Gli alunni hanno inoltre avuto l'onore di partecipare ad una conferenza tenutasi nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza di Palermo con i giudici Nino Di Matteo e Antonio Ingroia ed i docenti di lettere Raffele Tatulli e Francesco Papagni. L'incontro è cominciato con la testimonianza del professor Antonio Scaglione, figlio di Pietro, procuratore della Repubblica, primo magistrato vittima di Cosa Nostra (5 maggio 1971). I giudici hanno sapientemente analizzato, dialogando con i ragazzi, le vicende di giornalisti, politici, pubblici ufficiali o persone comuni  che, uniti dalla convinzione che la giustizia non è solo un’illusione, sono state vittime dei cosiddetti "colletti bianchi" che per brama di potere e forse anche per paura di essere uccisi hanno istituito la trattativa, una parola in effetti senza senso, «perché parlare di trattativa vuol dire dare dignità ad entrambe le parti in causa, e la mafia non merita così tanta importanza». L'appello rivolto ai liceali è stato quello di non rimanere indifferenti, di prendere posizione contro questo potere occulto che ormai è così radicato nelle istituzioni che passa inosservato. George Orwell scrisse: “Un popolo che elegge corrotti, impostori, ladri e traditori non è vittima, è complice!”. Non a caso il procuratore di Vibo Valentia Mario Spagnuolo, che i ragazzi hanno incontrato a Cosenza a termine del loro viaggio con il giornalista Arcangelo Badolati, ha magistralmente definito quello attuale un periodo "grigio", diverso da quello stragista in cui si poteva distinguere il nero dal bianco. La Mafia non ha più bisogno di uccidere per essere potente: è diventata parte integrante della società moderna, si è trasformata in atteggiamenti usuali di corruzione e frode e mantiene la sua forza perché complice di quei politici che ne traggono vantaggio. L'unica certezza di questo nostro Paese è, secondo Spagnuolo, quella scuola in cui non si crede e non si investe più, a causa di una crisi economica che viene utilizzata come un pretesto per nascondere le reali responsabilità da parte di chi ci governa: la mafia si combatte con la cultura, non con la pistola, e se davvero vogliamo che questo sogno diventi reale dobbiamo voltare le spalle al grigio e sviluppare una coscienza critica che ci consenta di rimanere indipendenti, combattendo per la libertà di espressione e di pensiero. D’altronde a che serve vivere, se non si ha il coraggio di lottare?

* studentessa del liceo "Leonardo da Vinci" (Ba)

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