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stretta-di-manodi Francesco Bertelli - 9 aprile 2015
“Oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest’uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio 1988. […[ Nel gennaio 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. […] Si aprì la corsa alla successione all’ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo preferì Antonino Meli.
Giovanni Falcone, dimostrando l’altissimo senso delle istituzioni che egli aveva e la sua volontà di continuare comunque a fare il lavoro con Antonino Meli   nella convinzione che, nonostante lo schiaffo datogli dal Consiglio superiore della magistratura, egli avrebbe potuto continuare il suo lavoro. E continuò a crederlo nonostante io mi fossi reso conto subito che nel volgere di pochi mesi Giovanni Falcone sarebbe stato distrutto”.

Poche parole, dure e sempre attuali. E’ una piccola parte dell’ultimo discorso pubblico che Paolo Borsellino tenne il 25 giugno 1992 presso la Biblioteca Comunale di Palermo. Borsellino parlava ad un mese esatto dalla strage di Capaci, delle cause che portarono all’isolamento e all’uccisione del suo amico fraterno Falcone.
Oggi a ventitré anni di distanza le cose non sono cambiate più di tanto. Anzi. Quelle parole di Borsellino possono essere applicate alla vicenda odierna che ieri ha visto concludersi il primo round contro il magistrato Nino Di Matteo.
Il Csm ha bocciato la sua candidatura alla PNA.  Il plenum ha preferito al suo posto tre colleghi meno noti: Eugenia Pontassuglia (pm del processo di Bari sulle escort che frequentavano le ville di Berlusconi), Marco Del Gaudio (pm del processo  all’ex presidente di Finmeccanica Guarguaglini) e Salvatore Dolce (titolare di diverse inchieste aventi come protagonisti le cosche calabresi).
Come scritto ieri da Lorenzo Baldo e Giorgio Bongiovanni su ANTIMAFIADuemila, se andiamo nel dettaglio si può anche vedere il bicchiere mezzo pieno.
Ci sono un sacco di tecnicismi che alla fine potrebbero portare ad una conclusione in positivo nei confronti del pm di Palermo: infatti nel nuovo concorso per la PNA (che si terrà durante la pausa estiva e successivamente a quello che ci sarà tra pochi giorni), la posizione di Di Matteo andrebbe al primo posto per il concorso.
Da sottolineare infatti , in questi mesi di tiro e molla da parte del Csm, alcuni pareri importanti a favore della nomina di Di Matteo: da Aldo Morgigni (togato di Autonomia e Indipendenza) al primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, per andare dal Pg della suprema Corte Pasquale Ciccolo, a Piergiorgio Morosini.
Fin qui possiamo anche dire che la situazione per Di Matteo è si andata male ieri, ma può ribaltarsi in positivo durante l’estate.
Quello che però è impossibile non notare è il segnale forte (in senso negativo) che il Csm ha dato ad un onesto servitore dello Stato in costante pericolo di vita.
Si, perché forse molti fanno finta di non ricordarselo, ma la situazione di Nino Di Matteo è tra le peggiori che non si ricordavano dai tempi di Falcone e Borsellino.
Perché il Csm ha bocciato la sua candidatura? Ha fatto benissimo Morosini a sottolineare l’esigenza di una grande competenza sul tema della mafia e dell’antimafia, come requisiti centrali e imprescindibili per riempire i tre posti della PNA. E ha fatto bene a proporre il nome di Di Matteo come candidato con i requisiti più adatti. Esperienza ventennale nella lotta alla mafia, impegnato in inchieste tra le più delicate in assoluto.
Però il Csm non ha sentito storie: per ore Di Matteo non ci piace. Sarà per la prossima volta.

Inutile dire che è proprio il curriculum di Di Matteo la causa della sua bocciatura. E qui tornano le parole di Borsellino sui Giuda che tradirono Falcone.
Sentiamo continuamente dire che è folle pensare che ci sia stata una Trattativa fra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Che se per ipotesi una trattativa ci sia effettivamente stata, è stata necessaria per impedire nuove stragi. Sappiamo perfettamente che questa è la schermata dietro cui gli imputati al processo sulla trattativa si nascondono.
Di Matteo (insieme al suo pool di magistrati) è il pm più scomodo d’Italia. Proprio come Falcone lo era ai suoi tempi.
Un pm non solo impegnato nel processo più importante, ma anche su altre vicende scottanti: vedi il protocollo Farfalla. Un protocollo top-secret in cui lo Stato (tramite i servizi e Mario Mori in primis) ha tenuto a libro paga diversi boss mafiosi di primo calibro con lo scopo di giungere a conoscenza , senza avvisare l’autorità giudiziaria, di eventuali confessioni e pentimenti scottanti.
Tale protocollo è stato osteggiato dai politici di destra e di sinistra per diversi anni. Come per l’esistenza della Trattativa. Poi il documento è spuntato e ancora oggi stiamo assistendo a balbettii e a decine di “non ricordo”.
Di Matteo come giusto che sia, sta scavando in queste gallerie dell’oblio e dell’omertà, per uno scopo molto semplice: capire e scoprire perché nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono tolti di mezzo. Perché la strage di Via D’Amelio venne accelerata così rapidamente. Perché durante il 1993 Cosa Nostra iniziò a colpire il patrimonio artistico dell’Italia andando a mettere le bombe fuori dalla Sicilia. Perché dal 1994 in poi le stragi si sono fermate. Perché per ben due volte (una nel 1995 e l’altra nel 2001) Provenzano non è stato catturato , nonostante Mori  & Company fossero ad un tiro di schioppo dal suo nascondiglio.
Chi risponde del Protocollo Farfalla? Perché è stato creato e nascosto per così tanti anni (più di un decennio secondo le indagini)?

Questi e tanti altri dettagli rappresentano il lavoro di indagine che Di Matteo sta svolgendo da oltre vent’anni. E’ implicito dire che un pm del genere è troppo scomodo per ricoprire un posto alla PNA. E’ troppo per un Csm espressione (ormai da troppi anni) della corrente politica di turno, anziché organo preposto a promozioni, trasferimenti e attribuzioni dei magistrati, nonché organo di autogoverno della magistratura.
Il problema però è che Di Matteo rischia ogni giorni di più. Sembra ormai archiviata la cosa, ma a Palermo gira ancora (non si sa bene dove) il  tritolo arrivato proprio per lui, su indicazione di misteriosi amici romani di Matteo Messina Denaro (tutt’oggi latitante). Un governo degno di questo nome avrebbe fatto sentire la sua vicinanza ad un servitore dello Stato (quello vero, non quello deviato).
Ed un Csm degno di questo nome non avrebbe titubato un minuto di più approvando la candidatura di Di Matteo, che può soltanto rappresentare un valore aggiunto e un bacino di esperienza insostituibile per un organo come la PNA.

Speriamo che per la pausa estiva sia la volta buona.
Sempre che Cosa Nostra ed altre entità misteriose non si sveglino in anticipo.

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