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di matteo occhialidi Francesco Bertelli - 4 marzo 2015
Nonostante ci siano state 91 mila firme da parte dei cittadini per chiedere al Csm la candidatura di Nino Di Matteo alla Direzione Nazionale Antimafia, nonostante il forte isolamento che il giudice Di Matteo stia subendo da diversi anni ormai a questa parte, nonostante la nomina di Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica, nonostante tutto questo la storia è sempre la stessa.

Porte in faccia sbattute ad un servitore dello Stato. Il Csm dice no alla candidatura di Nino Di Matteo. C’è da stupirsene? Forse un po’ si, alla luce delle novità degli ultimi mesi.
Come vicepresidente arriva Legnini (uomo Pd), caduto dall’alto per volontà del Partito della Nazione renziano in modo da tenere a bada il socio di maggioranza di quel Patto del Nazareno che non è mai finito (a Berlusconi interessava un vicepresidente tranquillo, è stato servito con Legnini).
Come Procuratore Capo di Palermo arriva Lo Voi (privo dei requisiti richiesti per ricoprire quel ruolo), a seguito di una lunga procedura abnorme gestita dall’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Come Presidente della Repubblica arriva Mattarella.
Al primo anno di giurisprudenza ci insegnano che il Consiglio Superiore della Magistratura non è solo l’organo che si occupa di promozioni, assunzioni, trasferimenti e provvedimenti disciplinari per i magistrati, ma è soprattutto il garante della sicurezza interna (rispetto ai capi dei vari uffici giudiziari) e di quella esterna (rispetto al potere esecutivo). E ci dicono anche che il Presidente del Csm è il Capo dello Stato.
Che requisiti sbagliati aveva Nino Di Matteo per non rientrare come candidato alla Dna?

La risposta è semplice. E’ un magistrato scomodo. Sta toccando quei fili rossi che in passato hanno annientato prima moralmente e poi fisicamente altri magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Isolati, offesi, attaccati da ogni parte politica. Così avvenne per Falcone. Mentre oggi tutti con stupore e dolcezza scoprono quelle 4-5 righe di una lettera inedita che Falcone scrisse e che il quotidiano L’Ora ha ritrovato, gli stessi oggi si dimenticano che un tempo Falcone venne lasciato solo a morire. Così fu anche per Paolo Borsellino.
E oggi nel 2015 sappiamo con certezza che per Nino Di Matteo sono stati organizzati due piani per eliminarlo: prima il vecchio sistema dell’autobomba. Poi il cecchino che avrebbe dovuto colpirlo al Club del Tennis dove solitamente Di Matteo si reca.
Poi ci sarebbe anche la questione del tritolo sparso e nascosto per Palermo. Quel tritolo è stato fatto giungere a Palermo per uno scopo: eliminare Di Matteo.

Non poteva essere un gesto nobile quello di candidare Nino Di Matteo alla Direzione Nazionale Antimafia?
Ma si sa, la storia si ripete. Nino Di Matteo va lasciato solo, insieme a tutti i suoi colleghi che indagavano su quella maledetta trattativa, tutt’ora in corso.
Una parolina di Sergio Mattarella su questa contrarietà dell’organo che lui stesso presiede contro una figura non ricattabile, pulita e onesta come quella di Nino Di Matteo, sarebbe doverosa.

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