di Luca Rocca - 16 gennaio 2015
Di critici, Giorgio Napolitano ne ha avuti un bel po’ in nove anni. E nella lista, ça va sans dire, rientra di diritto Marco Travaglio (in foto), condirettore de Il Fatto quotidiano. Ora il Capo dello Stato ha lasciato il Quirinale, perciò la prima domanda è quasi obbligata. Travaglio, gli concede l’onore delle armi? «Il presupposto è semplice: ciò che ha fatto Napolitano non ha nulla a che fare con quello che c’è scritto nella Costituzione. Si è considerato un salvatore della Patria ed è angosciato al pensiero di un’Italia senza di lui. Eppure sono convinto che ciò che ha fatto in questi nove anni, lo abbia fatto in buona fede. Il che è un’aggravante. Napolitano si è mosso non per arricchirsi, ma per tenere in piedi chi lo ha garantito in tutti questi anni: i grandi poteri europei e finanziari. È stato il garante della Casta, un presidente che non ha mai tollerato il conflitto e quindi le opposizioni. In definitiva un danno per la democrazia».
Il Capo dello Stato ha dato vita a tre governi non eletti. Due hanno fallito, il terzo, l’attuale, pare avviarsi sulla stessa strada. Colpa sua o degli esecutivi? «Napolitano è il più abile interprete dell’attuale sistema di potere. È l’uomo che voleva portare il Pci ad allearsi con Craxi, che attaccava Berlinguer sulla questione morale. In quei tempi, ovviamente, era una seconda fila, perché la politica era fatta di giganti. Ora lui è non dico un gigante ma un longilineo in un panorama di nani. È il pilota automatico che garantisce un sistema immobile, sempre uguale se stesso». Il Capo dello Stato viene accusato di essere stato di parte e aver scavalcato i poteri che la Costituzione gli concede. Ma lo hanno fatto anche alcuni suoi predecessori. «Io non penso che un presidente debba stare fermo e zitto come una pianta grassa. Il punto, però, è che Napolitano non è intervenuto per applicare le regole costituzionali, ma per orientare la politica italiana secondo un suo progetto politico». Napolitano è stato il primo presidente ad accettare il reincarico. Non merita un elogio almeno per questo? «Non lo ha fatto per senso di responsabilità, ma solo per evitare che il Paese finisse nelle mani di quel pericoloso terrorista come Stefano Rodotà, considerato un pericolo pubblico solo perché cultore della costituzione. Non potevano permetterlo». Fra i tanti errori che imputa al Capo dello Stato, quale mette al primo posto? «Proprio la rielezione. Un presidente che giura per un anno di non volersi far rieleggere e poi lo fa, è un presidente che mente. A pari merito, però, metto il conflitto d’attribuzione con la procura di Palermo per far bruciare le sue telefonate con l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino. Solo per non far sapere cosa si erano detti». Una delle cose che resterà dei nove anni di Napolitano è certamente la sua testimonianza, al Quirinale, sul processo Trattativa Stato-Mafia. Era proprio necessario tirarlo dentro? «Certo che lo era. Anzi, è assurdo porsi il problema. Dopo aver detto che non aveva nulla da dire, ha parlato per tre ore, rivelando cose che non aveva mai riferito prima. C’è chi ha parlato di danno d’immagine. Ma la sua immagine si è appannata quando ha preteso la distruzione delle telefonate. Testimoniando, invece, ha in parte rimediato. Eppure in un Paese dove è trattato da “Re Sole”, lo si è considerato un reato di lesa maestà». Insomma, una bocciature senza appello? «Beh, in 60 anni di politica qualcosa di buono l’avrà fatta. Ad esempio il suo impegno europeista, anche se tardivo. Oppure alcuni bei discorsi sull’Unità d’Italia. Per il resto ha solo ignorato la Costituzione». Dopo Napolitano potrebbe esserci il “reggente” Piero Grasso. Più che reggente, un auto-reggente. Un uomo che nella sua carriera non ha mai combinato nulla di rimarchevole».
Tratto da: iltempo.it