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rimi-nataledi Giuliano Girlando - 17 dicembre 2014
Per raccontare le mafie a Roma e nel Lazio molto prima di Mafia Capitale, intorno agli anni 70, dobbiamo probabilmente iniziare con un nome e volto ormai dimenticato: Natale Rimi (in foto), professione ragioniere. Figlio di Vincenzo e fratello di Filippo Rimi, entrambi condannati all’ergastolo per delitti di mafia.
E’ il 1971e si occupa di lui la Commissione Antimafia presieduta da Francesco Cattanei, quando arrivò la notizia del suo trasferimento dalla Sicilia al Lazio. Natale Rimi era stato distaccato dal Comune di Alcamo agli uffici della Regione Lazio e risiedeva nel comune di Guidonia. Attraverso accertamenti  risultò che l’assunzione di Rimi era irregolare “e tale da far sospettare un coordinato disegno mafioso - così si legge negli atti della Commissione - atto a favorirlo ed assicurare per il suo tramite un’utile presenza mafiosa nella Regione Lazio”.

Natale Rimi fu già imputato nel1967 dei reati di associazione a delinquere, furto e rapina, già denunciato il 21 novembre 1970 dai Carabinieri con altre trentasei persone per la sparizione del giornalista Mauro De Mauro. Ma chi introdusse Natale Rimi in regione fu il presidente stesso della Regione Lazio Girolamo Mechelli. Rimi era stato presentato a Mechelli da un sedicente « consulente commerciale », certo Italo Jalongo, noto pregiudicato, uomo di fiducia di Frank 'Coppola, e che a presentare Jalongo a Mechelli era stato il magistrato, dottar Beverino Santiapichi, consulente giuridico della Regione. Santiapichi, a sua volta, potè provare che Jalongo gli era stato presentato da un suo conoscente, certo Epiro, uomo di fiducia ed organizzatore elettorale dell'onorevole Giuliano Vassalli, esponente del PSI. L’indagine si conclude con il proscioglimento di un altro politico indagato Antonio Muratore originario di Canicattì, ex sindaco e presidente del consiglio comunale di Guidonia, all’epoca assessore all’agricoltura della Regione Lazio, in seguito approdato al Senato. Nel 1972 transita a Guidonia Lorenzino Ingemi ex boss della cupola del messinese, li per soggiorno obbligato.
Ma non basta. Indagando su Jalongo, la Commissione venne a sapere che costui era in rapporti di amicizia con il magistrato, dottor Romolo Pietrosi, che dal 1964 .prestava servizio presso la Commissione stessa per i necessari collegamenti con ila Magistratura. Così saltò fuori che il dottor Pietroni sapeva dei rapporti esistenti tra Jalongo e Frank Coppola fin dalla primavera dell'anno precedente. Dopo lo scandalo dell’assunzione del mafioso Natale Rimi alla Regione Lazio, il suo telefono fu messo sotto controllo ed emersero colloqui che rivelavano scottanti particolari sulla fuga di Luciano Liggio e sugli appalti da ottenere, grazie al coinvolgimento di politici e dirigenti ministeriali. La famiglia Rimi, imparentata con Gaetano Badalamenti, reggente del clan di Cinisi, e con Antonino Buccellato, capo della cosca di Castellammare del Golfo, nei primi anni Ottanta fu travolta dalla guerra di mafia scatenata dai corleonesi. Secondo le dichiarazioni del pentito Antonino Calderone, Rimi sarebbe stato contattato nel 1970 dall’estrema destra eversiva per favorire una intesa fra la mafia e il Fronte nazionale del principe Junio Valerio Borghese.Nel primo grande processo di Palermo il boss Luciano Liggio sostenne che Rimi avrebbe dovuto fare parte con funzione di armiere del golpe, poi fallito, attribuito proprio a Borghese.
Fu proprio forse per questi antefatti che Paolo Borsellino svolse una delle sue ultime indagini. Qualche giorno prima della strage di via d’Amelio, a Manheim in Germania, il giudice raccoglie le confessioni di Antonio Schembri, di Palma di Montechiaro, arrestato in una operazione antimafia condotta dai Carabinieri e dalla Bka tedesca. L’uomo svela a Borsellino esecutori e mandanti dell’omicidio di Rosario Livatino. Venne aperto un fascicolo intestato a un uomo che vive a Guidonia, nella zona cosiddetta ‘dei siciliani’, a cui viene recapitato un avviso di garanzia con l’imputazione di essere a capo del ‘mandamento di Canicattì’ dopo l’eclissi del boss Antonino Ferro, tale Giuseppe Caramanna un anonimo imprenditore nato nella provincia di Agrigento e residente a Guidonia. Le accuse riguardano sia l’omicidio di Rosario Livatino sia quello del maresciallo Giuliano Guazzelli ucciso solo due giorni dopo l’interrogatorio del siciliano residente a Guidonia.

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