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silenzio-mafia-omertadi Paolo Borrometi - 15 dicembre 2014
L’omicidio di Michele Brandimarte, avvenuto ieri pomeriggio in pieno centro a Vittoria, rappresenta una pericolosissima deriva per la Provincia di Ragusa, oltre che per la città ipparina.
Una risposta rovinosa alla sottovalutazione che, da più parti (tranne pochissimi rari esempi, come il Procuratore ibleo), c’è sempre stata per un territorio complesso come quello ragusano. 

La strategia della “mafia qui non esiste”, articoli che sbeffeggiavano l’operato di chi cercava di adoperarsi – non a gettare ombre – ma a spiegare i fatti, hanno da sempre prodotto questi risultati.

Un territorio dove ancora oggi, nel 2014, si spara in pieno centro e tra la folla, ben sette colpi e si fugge, davanti a centinaia di persone, come se nulla fosse. Come se il far west non fosse mai terminato, come se i tempi della “mattanza” e dei morti ammazzati in questa città fossero legati ad un passato davvero vicino.

Purtroppo non è così ed adesso saranno tutti a fasciarsi il capo. Ma per evitare, ripeto, una deriva pericolosissima, forse sarebbe meglio cercare di comprendere cosa stia accadendo davvero.

Un omicidio con due sicari che – ed è un appello accorato – saranno stati visti da decine di persone: parlate. Chi ha visto parli!

COSA SI NASCONDE DIETRO QUESTO OMICIDIO?
Per capirlo non si può che partire dal profilo di Michele Brandimarte, personaggio di “tutto rispetto” nelle dinamiche della criminalità organizzata calabrese.

Michele Brandimarte, 53enne, originario di Gioia Tauro, era un esponente di spicco dell’omonima famiglia legata alla cosca Piromalli-Molè di Gioia Tauro. L’uomo aveva precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico di droga.

La famiglia di Michele Brandimarte è stata coinvolta, sin dal 2011, in una faida con i Priolo, altra famiglia imparentata con i Piromalli. La guerra di mafia iniziò con l’uccisione di Vincenzo Priolo, di 29 anni, da parte di Vincenzo Perri, nipote di Michele Brandimarte. Sempre nel 2011 il fratello di Michele, Giuseppe Brandimarte, subì un tentato omicidio che non andò a buon fine.

ED ADESSO LA DOMANDA E’: COSA CI FACEVA BRANDIMARTE A VITTORIA?
Come scrivevamo solo qualche giorno fa (leggi l’articolo), la spartizione del territorio nella città di Vittoria e la relativa gestione di uno dei business più redditizi, la droga, è in assoluto e costante movimento.

Così la presenza di Michele Brandimarte in città era legata, secondo fonti riservate, ad un traffico di sostanze stupefacenti che vede la realtà vittoriese al centro

Ciò per svariate ragioni: dalla “piazza” di rifornimento che serve anche per altre città limitrofe e non di secondaria importanza; alla presenza del Mercato ortofrutticolo (fra i più importanti del sud Italia) intorno al quale orbitano, grazie ai trasporti su gomma, interessi ed affari enormi

LE PISTE DELL’OMICIDIO
Le piste che portano all’omicidio di Michele Brandimarte a Vittoria sono due:

la prima, la più semplice – che sarà quella prescelta da chi continuerà a dire che la presenza mafiosa in questo territorio non esiste – è relativa ad un regolamento di conti tutto calabrese.

La seconda è, invece, relativa al business, ovvero ad un nuovo approvvigionamento di droga che tramite Brandimarte stava arrivando a Vittoria.

Quindi droga non più soltanto dalla provincia di Catania, bensì anche da fuori e come snodo, magari, per le province vicine di Caltanissetta e della stessa Catania. 

D’altronde non va dimenticato che i due fratelli di Michele Brandimarte, Antonio e Alfonso, vennero tratti in arresto l’estate scorsa nell’ambito dell’operazione “Puerto liberado” condotta dalla Guardia di finanza con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e che portò alla luce l’esistenza di un gruppo che gestiva l’importazione di cocaina dal Sudamerica, attraverso il porto di Gioia Tauro.

Ma tutto questo verrà dileggiato, perché ricordatelo, qui la “mafia è invisibile” (citazione, ovviamente!) e sicuramente è più comodo affermare che “non esiste…”.

Tratto da: laspia.it

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