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mani-tascadi Francesco Bertelli - 16 novembre 2014
Sarebbe opportuno che i mezzi di comunicazione (quasi tutti) facessero chiarezza e definire le cose con il proprio nome. A Palermo la situazione è drammatica. Basta fronzoli, basta frasi non dette o pronunciate solo a metà. C’è una frase che caratterizza il momento attuale e rimanda a storie di qualche tempo fa: “Il tritolo è arrivato a Palermo”. Il pericolo adesso diventa realtà. Varie cosche mafiose hanno collocato la materia prima in più punti sparsi per Palermo. A dirlo è Vito Galatolo, capomafia dell’Acquasanta, figlio di Vincenzo Enzo Galatolo.

Quest’ultimo un uomo il cui curriculum parla da solo: ergastolo per aver preso parte all’omicidio Dalla Chiesa e al fallito attentato all’Addaura. Ma Galatolo va oltre. Sostiene che dietro l’attentato e la volontà di far fuori a Di Matteo, non c’è solo Cosa Nostra. Allora qui occorre che tutti facciano chiarezza, in primis le televisioni che preferiscono sorvolare: dietro a questo progetto (più realtà che semplice minaccia, come ancora da molti viene definito) c’è lo stesso filo rosso che caratterizza la storia della Repubblica italiana dal dopoguerra ad oggi. Non ci sono solo le semplici cosche mafiose (che nonostante il loro silenzio decennale hanno avuto la possibilità di riorganizzarsi), ma uomini da volto coperto, ovvero i gli innominabili: servizi segreti deviati, uomini delle istituzioni che tremano di paura, massoni.
La massoneria ha il suo ruolo anche in questa vicenda, anche perché (come ci insegna Vincenzo Calcara, uno degli ultimi pentiti che ebbe modo di parlare con Paolo Borsellino), in Italia certe cose non possono essere fatte senza il vaglio della massoneria, che c’è ed è sempre più potente.
Torniamo a Vito Galatolo. Perché si pente? E’ davvero come dice lui, ovvero un forte bisogno di redenzione interiore? Le sue parole si spingono fino ad un certo punto. Non dice chi sono “questi altri soggetti”. Ma la storia, come detto prima, in questo Paese purtroppo si ripete. Ora però, gli effetti di questa uscita di Galatolo potrebbero essere i più vari possibili. Come scrivono anche Lorenzo Baldo e Miriam Cuccu, Cosa Nostra avrà già avuto modo di  rimuovere le tracce nascoste per preparare l’attentato.
C’è di più. Galatolo ha chiesto di parlare personalmente con Nino di Matteo. Cosa lo spinge a parlare con il magistrato più in pericolo d’Italia? Forse vuole riferire quali sono queste “entità esterne a Cosa Nostra?” Ricorda molto il pentimento di Gaspare Mutolo il quale volle parlare solo ed esclusivamente con Paolo Borsellino. Poi sappiamo la storia com’è finita.
Diciamolo chiaramente: il rischio c’è e mai come in questi giorni è così alto. In compenso che fa la politica? Nessuno si è degnato di dedicare due parole al magistrato palermitano. Né dal Presidente della Repubblica, né dal Presidente del Consiglio. Anche dentro alla Procura di Palermo si respira la stessa aria terribile di ventidue anni fa. Pochi sono i magistrati che hanno espresso vicinanza a Di Matteo (Morosini e parte del Csm per esempio). Mentre ieri una folla di studenti e persone della società civile erano scese in piazza davanti al Tribunale di Palermo, ai piani superiori della Procura si è preferito far finta di niente. Sono le parole del magistrato minacciato a far venire i brividi: “Io non so cosa accadrà ho solo la speranza che conserverete sempre questa passione civile”.
E’ come se una certa consapevolezza avesse preso breccia dentro l’animo di Di Matteo. Una consapevolezza più forte e terribile rispetto ai mesi scorsi. Ed è questo l’elemento più triste di questi giorni. Un magistrato che capisce di essere completamente solo. Che capisce che la politica ripete gli stessi errori  di venti anni fa. Una politica che va avanti solo a spot, senza alcun fatto. Si potrebbe chiedere perché il ministro dell’interno Alfano lo scorso anno aveva dichiarato di aver messo a disposizione il bomb jammer per Di Matteo e la scorta, e come mai ancora non se ne vedono le tracce. Oppure si potrebbe chiedere perché la Presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi in merito alle minacce a Di Matteo , abbia detto testualmente: “Non abbiamo mai sottovalutato e non sottovalutiamo mai nulla di questi aspetti. Tutti i dispositivi di sicurezza sono stati messi a disposizione”. Parole che si definiscono da sole.
Ecco quindi la situazione. Non bastano le grida e la vicinanza dei vari Movimenti delle Agende Rosse e delle varie associazioni della società civile. Sono fondamentali per sensibilizzare i cittadini, questo si. Ma da sole non bastano. Serve la politica. Serve che il Parlamento ne parli. Serve che il Movimento Cinque Stelle (che è sembrato fino ad oggi il più sensibile a questi temi) renda conto in Parlamento delle manchevolezze dei vertici politici di questo Pese. Serve che le televisioni parlino del pericolo che Di Matteo corre oggi più che mai. Non servono frasi di circostanza di uomini politici, quando ormai il fatto triste si è verificato.
Certi gesti e certe frasi le abbiamo già sentite venti anni fa. Non ci servono. Fanno semplicemente schifo.

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