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di Enza Galluccio - 14 ottobre 2014

Massimo Ciancimino, figlio di Vito ex sindaco di Palermo e protagonista della prima trattativa tra lo Stato e la mafia, è testimone chiave al processo di Palermo.
A lui si deve la scoperta del “papello” contenente le 12 richieste di Cosa nostra nei confronti dello Stato per salvare la vita dei politici presenti nella lista nera di Riina. Massimo Ciancimino è l’uomo che ha permesso con la sua testimonianza, che il processo di Palermo sulla trattativa si realizzasse.

Lei è ritenuto l’uomo delle rivelazioni sui rapporti tra Cosa nostra, servizi segreti e apparati dello Stato, avrebbe anche consegnato importanti documenti sul Golpe Borghese, sulla strage di piazza Fontana… Ritiene che ci sia un filo conduttore tra questi tragici fatti? Chi avrebbe deciso per tutti questi anni il bene e soprattutto il male nel nostro Paese?
Credo che anche Pasolini avesse avuto questa visione, cioè che ci fosse un unico legame dietro il fenomeno stragista. È chiaro che finora l’unico legame certo è che nessun reale responsabile sia stato mai portato alla sbarra. Forse per la prima volta oggi, con quelle che sono state le mie dichiarazioni, c’è il tentativo abbastanza osteggiato da parte delle istituzioni di portare per la prima volta mafiosi e istituzioni in un unico processo.

C’è un uomo - presumibilmente parte dei servizi segreti - definito “faccia da mostro”, che sarebbe stato una presenza costante in molti omicidi e stragi. Ultimamente è stato associato al volto dell’ex agente di polizia Giovanni Aiello. Aveva mai visto quell’uomo a casa di suo padre o altrove?
No, mi è stato mostrato dagli inquirenti, anche in alcuni interrogatori che mi sono stati fatti, ma devo dire che non lo conoscevo. Altresì c’è stato il riconoscimento di altri soggetti sui quali la Procura sta procedendo con gli accertamenti.

A questo proposito, aveva detto che avrebbe rivelato ai pm il vero nome del signor Carlo/Franco, l’ipotetico uomo dei servizi segreti cardine delle relazioni tra Cosa nostra e istituzioni. Ha mantenuto la promessa?
Il problema non era dare il nome. Quello che avevo dichiarato io - essendo di fatto un “postino”, mentre quello era un  grosso centro di potere perché era l’unico personaggio che potesse entrare e uscire tranquillamente da casa mia senza essere riconosciuto per la sua elevatezza a livello istituzionale - è chiaro che non è stato molto utile …
Si sta, però, procedendo attraverso dei riconoscimenti fotografici che stanno dando degli esiti. Ovviamente il tutto è sempre legato alla documentazione che, a gocce, arriva anche dal Ministero degli Interni su questi soggetti coperti dal segreto di Stato …
 
Lei afferma che la trattativa tra lo Stato e la mafia debba essere collocata molto prima delle stragi del  ‘92/’93 e che essa non si sia mai interrotta fino ad oggi. A suo parere quali sarebbero i nuovi referenti sia per Cosa nostra che per lo Stato?
Guardi, questo non sarei in grado di dirlo. Posso soltanto affermare quello che mi ha raccontato mio padre, che ho vissuto personalmente e che è un dato di fatto che emerge agli occhi di tutti. Oggi viviamo in uno Stato incapace di diffondere la legalità, c’è un tasso di disoccupazione altissimo, un livello di criminalità sempre in crescita, la ricchezza va sempre più scemando, ci sono sempre più poveri e sempre più persone molto ricche… In questa grande forbice di dissenso sociale e di divario tra società civile povera e società civile ricca la mafia trova terreno. Laddove queste organizzazioni si radicano e laddove lo Stato non può ottemperare con mezzi legali, è chiaro che scende a trattative e cerca di rimediare ai danni, ma questo è qualcosa che credo avvenga in ogni Stato. Ovviamente quando questo avviene con il prezzo qual è stato quello del dottor  Falcone e della sua scorta e del dottor Borsellino e degli altri omicidi, questo fa pensare come lo Stato non dovrebbe di regola mettersi in condizioni di trattare. Poi se questo sia reato o no, ci sono discussioni e ipotesi di grandi giuristi … Sicuramente oggi vediamo tanti Stati che scendono a patti con soggetti e con organizzazioni criminali pur di raggiungere un equilibrio. Credo che in uno stato di diritto come il nostro, che ha sempre fatto propria la bandiera del non trattare con il crimine organizzato, con i rapitori, sequestrando anche i beni di chi vorrebbe trattare per il rapimento di un figlio… Sarebbe una grossa contraddizione cercare di far passare l’idea che trattare serva in caso di necessità, come ha affermato il giurista Fiandaca.
 
Ora le chiedo qualcosa di molto attuale. Lei avrebbe diritto a presenziare all’udienza in cui testimonierà Giorgio Napolitano dal Quirinale per il processo sulla trattativa, ma non ha presentato richiesta. Perché? Che opinione si è fatto in merito alla decisione della Corte di Assise che vieta la presenza, anche indiretta, agli imputati?
Sono stato il primo a citare un’interferenza del Quirinale nella persona di Giorgio Napolitano, per cercare di riassegnare tutto il processo alla Procura di Caltanissetta. Ancor prima che venissero svelate le famose quattro telefonate, anche se poi non si sono potute ascoltare, ne avevo riferito quando mi aveva parlato questo elemento dei servizi segreti. Rispetto a quella che è stata la mia richiesta, ho pensato appunto di aver il diritto di porre domande o quantomeno ascoltare, in merito agli argomenti per i quali il Presidente della Repubblica era stato chiamato a testimoniare. Ho fatto presente questa mia volontà ai miei avvocati. Quando poi sono sopraggiunte le richieste di Riina e di Bagarella, non ho voluto dare corso a nessun tipo di strumentalizzazione. L’unica cosa che mi lascia un po’ basito è la richiesta di Mancino. Essendogli stata negata di fatto la presenza, credo che - in merito all’ordinanza della Corte - possa minare realmente l’impianto di questo processo. Per quanto riguarda i detenuti che dovevano presenziare in videoconferenza, forse, è comprensibile, ma negare la possibilità di partecipare ad un cittadino libero e far prevalere la sicurezza sul diritto sacrosanto di poter presiedere a tutte le udienze… Non so… Sicuramente è un precedente unico.
Io ho voluto, con il mio gesto, sollevare la Corte dall’imbarazzo di dover decidere, visto che al momento ero l’unico ad aver fatto richiesta per presenziare come persona libera. Poi è arrivato Mancino…
 
Con la sua testimonianza lei ha segnato una svolta nei processi siciliani. L’impressione, però, è che dopo il clamore iniziale si sia creato molto silenzio intorno al suo nome, interrotto soltanto da continue accuse. A questo quadro si sono aggiunte anche le minacce. Secondo lei è possibile che tutto ciò sia parte di un unico disegno? Se sì, quale?
Penso che sia indubbio. Dal momento in cui a Palermo, in alcune Procure, si parla di mafiosi trovi entusiasmo e trovi persone pronte ad accogliere le tue dichiarazioni. Quando invece cominci a toccare i fili alti, capisci bene che non trovi più tanti procuratori propensi ad ascoltarti, ma trovi procuratori molto più prudenti… Non è il caso della Procura di Palermo, che ti invita per un attimo a ripensare sulle tue dichiarazioni.
Poi inizia la delegittimazione, come le continue richieste del Ministero del Tesoro… Ad oggi credo di avere qualcosa come quattordici inchieste per riciclaggio da parte delle Procure italiane, tranne quella di Palermo che ne ha chiesto l’archiviazione, e finora non un solo euro mi è stato mai confiscato come risultato di tutte queste indagini. Poi arrivano altre delegittimazioni come quella di Reggio Calabria, quelle di Strangi, un’intercettazione del 2005 che non è stata mai seguita da nessuna azione giudiziaria… Sono passati cinque anni e non sono mai stato chiamato a rispondere di nessuna ipotesi accusatoria… È chiaro che si possono distruggere le persone in tante maniere…
Io non sono un eroe e non voglio paragonarmi ad un paladino dell’antimafia, sono un cittadino normale che ha creduto di dover fare il proprio dovere rispondendo alle domande dei giudici. Ma in un sistema così anomalo, basato sull’omertà, il semplice rispondere alle domande dei magistrati è il vero problema. Laddove di fronte a processi come quello sulla trattativa - come nel caso del Presidente della Repubblica - si debbano far spendere centinaia di migliaia di euro in fotocopie ad una giustizia malata… Ci si rende conto che certi processi non si vogliono celebrare, che  imbarazzano… E che non c’è nessun interesse istituzionale né mediatico nel mandare avanti questo tipo di indagini…
 
Concludo con un’ultima domanda. Lei ha detto e forse dirà ancora delle cose che potrebbero dare fastidio sia al mondo criminale sia a quello delle istituzioni. Perché è ancora vivo?
Perché ancora non ho detto tutto… Aspetterò il momento giusto per capire realmente se si vuole o non si vuole conoscere… Al momento mi rendo conto che certe verità sono scomode, sono difficili da dimostrare. Pasolini diceva “Io so, ma non ho le prove…” questo è il mio cruccio. Perché andando a toccare tasti e personaggi importanti scatta subito la calunnia, come è successo per Caltanissetta…
Un personaggio come me che gira libero, con figli… Chi inneggia e mi incita alla verità deve anche tenere conto che questo Stato non ha dimostrato di proteggere i testimoni di giustizia…
 
Le chiedo una sintesi finale rispetto alla mia domanda: ha paura, teme per la sua vita?
Sì … Ma ci convivo!

AUDIO Ciancimino parla Stragi di Stato, Servizi Segreti, processo di Palermo

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