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tesina-angelicadi Pippo Giordano - 4 settembre 2014
La forza di combattere non solo la mafia, ma la sua disabilità mi ha fatto capire quanta passione, quanta onestà c'è nella nostra migliore gioventù. Angelica con la dolcezza che la contraddistingue mi ha detto “Pippo mi aiuti a scrivere la tesina sulla mafia?” Non era la prima volta che ricevevo richieste del genere, anche per tesi di laurea. Ma con Angelica è stato diverso, molto diverso e sono orgoglioso che alla fine la sua tesina abbia avuto successo. Angelica mi ha dato l'opportunità di parlare con il cuore e solo con il cuore, Angelica e noi tutti possiamo sconfiggere le mafie. Grazie Angelica, ti auguro di realizzare i tuoi sogni.

Ecco, le domande di Angelica, che hanno contribuito ad editare la tesina.


La tragica fine di Borsellino e Falcone, insieme a tanti altri suoi amici, ha rafforzato la sua voglia di combattere contro la mafia oppure si è sentito sconfitto e scoraggiato?
Solo in un particolare momento della mia vita mi sono sentito sconfitto, tant'è che abbandonai ogni mio ideale di lotta alla mafia. Era il 6 agosto del 1985 e stavo compiendo un'indagine in Romagna  sul conto di un fidato amico di Salvatore Riina, che stava edificando dei residence. L'indagine mi fu affidata direttamente da Giovanni Falcone tramite Ninni Cassarà. Ecco, ero in terra di Romagna quando un mio amico mi venne a trovare dicendomi "hanno ammazzato un commissario a Palermo" Non chiesi il nome, lo sapevo già. L'omicidio del Commissario Ninni Cassarà, insieme a un ragazzo più che ventenne Roberto Antiochia, seguiva quello di Beppe Montana avvenuto pochi giorni prima. E, ancor prima la mafia aveva assassinato Lillo Zucchetto, del quale ero capo-pattuglia. L'assassinio di Cassarà, mi costrinse ad abbandonare la lotta a Cosa nostra, salvo poi riprenderla nel 1989 su sollecitazione di Giovanni Falcone.

Come ho letto nel suo libro "Il sopravvissuto" la mafia è molto feroce e si accanisce con violenza contro le persone, distinguendosi dagli altri fatti criminosi. Mi può spiegare perché?

Una delle armi della mafia è la minaccia, che poi sovente sfocia in violenza. Se alla mafia si toglie la possibilità di minacciare ed offendere fisicamente gli altri, potremmo a ragion veduta poter dire, abbiamo sconfitto le mafie. Ma purtroppo non è così, talchè la violenza spesso raccapricciante è il mezzo con il quale assoggetta gli altri esseri umani. E, appunto nella ferocia che si avvale dell'omertà e talvolta connivenza del popolo. Tuttavia, vorrei sfatare la nomea sull'omertà della gente del Sud: in parte è vero, ma spesso c'è più collaborazione silente tra cittadini e forze dell'ordine rispetto, per esempio in alcune zone del Nord, se poi il cittadino conosce il suo interlocutore investigatore, non ci sono remore, è una collaborazione fattiva e propositiva. Io sono ben testimone, non per niente tutte le mie catture di latitanti, capi famiglia o killer, sono avvenute grazie alle confidenze di persone che mi conoscevano sin dall'infanzia e mai e poi mai li avrei traditi..

Io lotto tutti i giorni contro i pregiudizi della gente, penso che anche la mafia è frutto di ignoranza e di mancanza di valori, cosa può fare la scuola per aiutare i ragazzi ad avere fiducia nelle proprie capacità, il coraggio per combattere le avversità e la forza per raggiungere gli obiettivi desiderati?
I pregiudizi sono la negazione dell'intelligenza dell'uomo. L'ignoranza era il nettare che alimentava i mafiosi, oggi è diverso: sono ragazzi giovani con un buon titolo di studio. Sulla mancanza di valore, sono d'accordo. I mafiosi non conoscono valori, non conoscono morale. Il loro obiettivo sono i picciuli (soldi) non disgiunti dal potere. Il potere sul territorio gioca un ruolo importante sull'effettiva capacità del mafioso di comandare e incutere paura. Non a caso quasi tutti i latitanti vengono arrestati nel territorio dove la loro supremazia rappresenta l'apice del potere. Ognuno di noi può aiutare i ragazzi a comprendere che una società senza mafie è possibile. E, quindi sta noi anziani o adulti far capire loro che combattere le mafie è un dovere di tutti. Spesso dico ai giovani che durante le mie investigazioni e quando la mente si offuscava da legittima paura, dicevo tra me e me che era meglio morire con coraggio che vivere da vigliacco: andavo avanti con più forza di prima ed è questa forza che tento di tramandare ai giovani.

Nella disabilità ci sono molte barriere "mentali" così come nella mafia, perché prevaricare l'altro per ottenere i propri scopi è una strategia del mafioso. Cosa ne pensa di questo mio pensiero?
Le barriere "mentali" o come li chiamo io cavalli di frisia o bunker d'acciaio, non sono altro che un alibi per non volere affrontare il problema che attanaglia la nostra società, ovvero la mafia nel suo complesso anche in relazione alla crudeltà e alla sopraffazione degli altri. Prevaricare, uccidere, rendere inoffensiva qualsiasi minaccia che possa danneggiare il mafioso, sono la linfa che alimenta l'aberrante comportamento del mafioso. Il mafioso non è nato cattivo, è nato solo crudele!

Dove ha trovato la forza e il coraggio per combattere così a lungo contro la mafia?
Devo fare una premessa. Sono cresciuto a pane e mafia. Sin da piccolo ho conosciuto coloro che per un ventennio hanno gestito la mafia: potevo farne parte, se avessi voluto. Quindi, ne ho carpito, mentalità e modus operandi: condizioni che poi da sbirro mi sono stati utilissimi per fare l'investigatore. La forza che in tutti quegli  anni ha alimentato la mia vita professionale, me l'hanno data in primis i miei colleghi, poi Giovanni Falcone, Chinnici e Borsellino. Sembrerà un paradosso ma ad ogni collega o carabiniere ucciso in noi tutti aumentava il coraggio e la determinazione ad andare avanti con più forza di prima. Erano i colleghi morti ammazzati che ce lo chiedevano e noi non potevamo agire da vigliacchi. 

Anch'io sento di avere coraggio, un coraggio diverso dal suo che non mi espone ai rischi e ai pericoli a cui lei va incontro ma può portare allo scoraggiamento e alla sconfitta. Che cosa serve, secondo lei per combattere "l'ignoranza" di questa nostra società?
Cultura cultura e solo cultura. La cultura è l'arma che più teme la mafia. Occorre anche che tutti, nessuno escluso, volga lo sguardo al passato per dare luce al futuro. Purtroppo, ahimè, il nostro Paese dimentica tutto e in fretta ed è questa la carta vincente dei mafiosi; noi dimentichiamo in fretta. Noi cerchiamo di lavare urgentemente le strade tinte di rosso del sangue versato dai nostri martiri. E' come se ci vergognassimo del passato, quando. invero, dovrebbe essere il faro del nostro cammino.

Quando sembra che tutto prenda la piega sbagliata a che cosa si aggrappa?
Anche oggi, come allora, alla mia famiglia: mia moglie e miei figli. Spesso, quand'ero a Palermo mi domandavo, senza farmi accorgere, se quel bacio dato prima di andare al lavoro fosse stato l'ultimo e allora quando rientravo, anche dopo una giornata di pedinamenti o appostamenti, li abbracciavo. La mia famiglia rappresentava per me lo "scoglio" al quale aggrapparmi da naufrago. Ordunque quando lasciavo lo "scoglio" per un'altra giornata di lavoro, mi dirigevo con passi fermi verso quel mondo fatto di valori, onestà e amicizia e mi buttavo nell'arena per combattere una guerra che già sapevo persa, ma gli ideali che mi accomunavano insieme ai colleghi erano quelli di avere una Sicilia senza condizionamenti mafiosi. Non ci sono riuscito e di questo cara Angelica ti chiedo umilmente scusa.

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