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un-suicidio-di-mafiadi Monica Capodici e Matilde Geraci - 3 giugno 2014
Un “suicidio” di mafia. La strana morte di Attilio Manca. È questo il titolo del nuovo lavoro di Luciano Mirone, edito dalla Castelvecchi e presentato domenica 1° giugno presso la Pinacoteca Comunale di Capo D’Orlando (ME), su iniziativa dell’A.N.A.A.M. (Associazione Nazionale amici di Attilio Manca). Mirone, già autore di Gli insabbiati. Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza, e A Palermo per morire. I cento giorni che condannarono il generale Dalla Chiesa (pubblicati entrambi sempre dalla casa editrice Castelvecchi), anche in questo libro affronta una verità scomoda: la vicenda dell’urologo barcellonese trovato morto nella sua casa di Viterbo nella notte tra l’11 e il 12 febbraio 2004.
Oltre allo scrittore, erano presenti Angela e Gianluca Manca (rispettivamente madre e fratello di Attilio); Cettina Scaffidi, assessore del Comune di Capo D’Orlando; Nello Musumeci, Presidente della Commissione Regionale Antimafia; e l’attore Giuseppe Cardullo, che ha letto alcuni passi tratti dal libro. A moderare l’incontro, Luciano Armeli Iapichino, anch’egli autore di un libro-inchiesta sul caso del giovane medico, intitolato Le vene violate. Dialogo con l'urologo siciliano ucciso non solo dalla mafia (ed. Armenio).

La signora Manca, che con la solita garbata compostezza riesce ad emozionare il pubblico, racconta la triste storia della sua vita, di suo figlio. Un racconto che sembra la trama di un film, ma purtroppo sappiamo bene che non è così. «Mio figlio era mancino puro, - afferma - questa è una certezza, nessuno meglio di me sa. Perché continuano a negare l’evidenza? Perché la Procura di Viterbo non ha indagato? Perché non ha usato i mezzi a sua disposizione per capire? Mio figlio non era un drogato, non si è fatto quelle due iniezioni sul braccio sbagliato. Si sono illusi che l’omicidio di Attilio fosse “cosa loro”, cioè che non varcasse i confini di Barcellona o al massimo di Messina. Anche se non fosse quello che io e la mi famiglia pensiamo e raccontiamo da dieci lunghi anni, che mi dimostrino almeno dov’era mio figlio negli stessi giorni che Provenzano fu operato a Marsiglia, in quel buco di 28 ore dove nessuno sa Attilio dove fosse». La dignità con la quale questa madre ripercorre e condivide il dolore per l’amatissimo figlio strappato in quel modo e sulla cui morte la Verità e la Giustizia tardano ad arrivare, riporta alla mente le figure di altre due Madri coraggio che non si sono mai arrese: Felicia Impastato, madre di Peppino, e Augusta Agostino, madre di Nino, entrambi barbaramente uccisi dalla mafia, mentre lo Stato, complice, taceva e tace ancora oggi.
Attilio Manca, ricordiamo, è stato ritrovato riverso nel suo letto, col setto nasale rotto e due buchi nel braccio sinistro. Per la Procura di Viterbo si tratta di un suicidio, dovuto ad un mix letale di droga, alcool e tranquillanti. Per la famiglia, invece, di un omicidio camuffato da suicidio, da collegare all’operazione di cancro alla prostata subìta da Bernardo Provenzano sotto falso nome a Marsiglia, nel settembre del 2003. Attilio avrebbe infatti visitato e curato il boss, prima e dopo l’intervento. Un testimone scomodo, che andava eliminato una volta che non serviva più. Sulle ragioni che portarono alla morte di Attilio, il fratello Gianluca fa una semplice riflessione: «Se il capo dei capi,  il boss, il padrino si ammala di tumore alla prostata, da chi lo fanno operare? Dal migliore, ovvio. E non è un caso che proprio mio fratello in quegli anni lo era, ma non lo dico solo io, sarei di parte, lo scrivevano i giornali nel 2003, pubblicando articoli dove si evidenziava la bravura di questo urologo siciliano».
«Io non voglio sentirmi solo il fratello di Attilio Manca, ma voglio essere un cittadino Italiano indignato di una verità che tarda ad arrivare, di una giustizia lontana». E poi il riferimento alle foto che mostrano Attilio morto, in una pozza di sangue, e mostrate pubblicamente dalle tv e dai giornali dopo dieci anni: «In quelle foto è palese che non si trattasse di suicidio. Noi pretendiamo la verità, quella vera, quella a 360°. Ormai per noi è chiaro, la morte di Attilio è collegata, non so in che modo, alla trattativa Stato-Mafia, quella trattativa giustificata dal giurista Fiandaca, proprio nel suo libro. Eppure un pentito di mafia di nome Ciccio Pastoia parlò di un urologo siciliano che operò Provenzano a Marsiglia, proprio quel pentito, che poco dopo questa testimonianza guarda caso morì (l’ex braccio destro di Provenzano si “suicidò” in carcere nel 2005, Ndr)».
Secondo Nello Musumeci, «Attilio Manca è rimasto imbrigliato in un meccanismo perverso. Ad un certo punto non è riuscito a tirarsene fuori, anche perché era un meccanismo che non conosceva. Attilio non sapeva di avere come paziente l’uomo più ricercato d’Italia. Parliamoci chiaro: qui nessuno crede che Attilio sia morto da suicida». Con parole chiare e decise, anche il Presidente della Commissione Regionale Antimafia fa riferimento alla trattativa: «Un filo conduttore che è sempre esistito e che parte da Salvatore Giuliano».
«Le contraddizioni sul caso Manca sono tante. – dice lo scrittore e giornalista Mirone - Per scrivere di verità non bisogna essere bravi, ma onesti. Certo, a me interessa capire le responsabilità delle istituzioni su questo caso, come di quella dell’allora capo della Squadra mobile Salvatore Gava, che nei primi anni del Duemila, prestava servizio proprio a Viterbo, indagato e condannato per aver falsificato i verbali  sul G8 di Genova. Il Dottor Gava, in una sua dichiarazione, sosteneva che Attilio Manca fosse di turno all’ospedale di Belcolle nei giorni che Provenzano si operava a Marsiglia, e che dopo anni una semplice indagine di un giornalista, scoprì che in realtà Manca non era a lavoro proprio in quei due giorni». E ancora: «Ma perché l’esame autoptico diventò pubblico solo dopo 10 anni? Eppure la famiglia non venne mai informata di quest’esame. Un uomo, il padre di un “amico” di Attilio, dopo tempo, incontrando la signora Angela al cimitero di Barcellona Pozzo di Gotto le chiese: “Signora, ma siete sicuri che Attilio sia morto per droga? E non perché ha operato Provenzano a Marsiglia? Nome che per lei fino a quel momento era sconosciuto». Infine un appello: «Non lasciate sola la famiglia Manca». E non possono che venire in mente proprio le parole di Attilio che, rilette oggi, alla luce di quanto accaduto, suonano drammaticamente profetiche: «Spero che la ricerca non venga mai interrotta, perché questa possa continuare nei miei successori. E soprattutto spero che qualcuno, un giorno, possa trovare la verità, per non vanificare me e millenni di generazioni umane».

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