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puglisi-video-repubblicaIl reportage/Video
di Salvo Palazzolo - 26 maggio 2014
Siamo entrati nell’abitazione del sarcedote che da oggi diventa museo
Sul tavolo del saloncino c’è un rosario, su un mobile le foto di una famiglia felice, nella credenza i bicchieri delle feste. «Pino ci teneva tanto, erano un ricordo di nostra madre», dice il fratello Franco. «Ma lui non li usava», sorride. Don Pino mangiava scatolette e un tozzo di pane. Siamo entrati nella casa dove Puglisi ha abitato dal 1969. Da oggi, grazie al centro Padre nostro, la casa verrà aperta alla città.
Piove a dirotto su Brancaccio, ma in questa piccola casa di piazza Anita Garibaldi numero 5 entra una luce intensa. Sul tavolo del saloncino c’è un rosario, su un mobile le foto di una famiglia felice, dentro una credenza sono ancora conservati i bicchieri delle feste. «Pino ci teneva tanto, erano un ricordo di nostra madre», dice Franco Puglisi. «Ma lui non li usava», sorride. Don Pino mangiava scatolette e un tozzo di pane.
Questa è la casa dov’è cresciuto, dove ha abitato dal 1969. In questa casa stava tornando la sera del 15 settembre 1993, ma lo uccisero prima. «Tante persone bussavano alla porta. Nel saloncino entrava chi era in cerca di una parola di conforto», dice il fratello, che ha lo stesso tono di voce di don Pino, dolce, pacato. «Lui ascoltava a lungo, poi faceva in modo che ognuno trovasse in sé la risposta».

C’è una quiete grande fra queste mura, al secondo piano di una palazzina dello Iacp. In una stanzetta c’è un letto, al capezzale un crocifisso di ferro. Dentro un vecchio armadio, gli abiti della messa di don Pino, che per la Chiesa è ormai beato in virtù del martirio per mano mafiosa. Su un carrello, una radiolina e un vecchio televisore in bianco e nero. Adesso, questa casa verrà aperta a tutti. «Ci siamo riusciti - dice Maurizio Artale, l’instancabile presidente del centro Padre nostro - la casa l’abbiamo ricomprata con le offerte di tante persone, e con l’aiuto determinante della famiglia di don Puglisi abbiamo riportato in queste stanze le sue piccole cose di ogni giorno, che raccontano di un uomo semplice».
È bene sottolineare che questa casa viene aperta solo adesso, 21 anni dopo il martirio del parroco di Brancaccio. Perché due anni dopo l’omicidio, l’istituto autonomo case popolari sfrattò la famiglia Puglisi. «L’affidatario era mio padre - ricorda Franco - lui risultava deceduto, mio fratello pure. Ma già a fine 1993 io avevo chiesto al sindaco Orlando di avere l’appartamento in comodato gratuito per realizzare una casa museo, lui mi aveva offerto la sua disponibilità ed un assessore era stato incaricato di seguire il caso. Non accadde nulla. L’unica risposta, nel 1995, fu l’ingiunzione di sfratto inviata dallo Iacp, con la minaccia di fare intervenire i carabinieri. Così, una mattina, portammo via i mobili e tutte le cose di Pino. Ma in questi anni abbiamo conservato tutto con cura». Fra qualche giorno torneranno la scrivania di don Puglisi e la sua libreria. Molti libri sono rimasti però in seminario, lì furono portati dopo il delitto. «Quest’altra stanza era piena di libri - dice ora il fratello - erano ovunque». Testi di teologia, psicologia e sociologia.
Anche in questa stanza c’è un silenzio irreale che restituisce un grande senso di serenità. Intanto, ha smesso di piovere e il sole illumina un divanetto. Accanto, in un angolo, c’è una vecchia presa del telefono. Dunque, era qui don Pino quando riceveva le telefonate di minacce. Non ne parlò mai con nessuno. Solo una volta, a fine agosto, ne accennò a un ragazzo del quartiere, anche lui aveva ricevuto alcune intimidazioni perché si era avvicinato alla parrocchia. Lo abbiamo saputo solo dopo l’omicidio.
Era qui don Pino, in questa stanza, quando gli telefonai una sera di settembre, una settimana prima che lo uccidessero. Dovevamo organizzare un incontro di preghiera per gli universitari della Fuci e lui invece disse: «Quest’anno non potrò essere con voi». Non aggiunse altro. Non capii che era in pericolo, nessuno lo capì che stava per essere ucciso. Eppure, avevano incendiato il cantiere di ristrutturazione della parrocchia, avevano incendiato le porte di casa di tre componenti del comitato intercondominiale di via Hazon e da Brancaccio la chiesa e i volontari avevano lanciato un accorato appello alla presidenza della repubblica, per riscattare un intero quartiere in mano alla mafia.
Questa casa in cui entro per la prima volta non ha davvero l’aria di un museo. In queste stanze c’è la serenità che trasmetteva don Pino, ma è rimasta anche la sua sofferenza, e poi la solitudine, la paura. In questa casa, don Pino ha vissuto il travaglio che l’ha portato al martirio. «Negli ultimi tempi, non voleva che i suoi amici venissero a casa - racconta Franco Puglisi - Pino era cosciente di quello che sarebbe accaduto, ma è sempre rimasto qui». Così, adesso, questa casa conserva anche la fede di un piccolo grande sacerdote di periferia. Papa Francesco ha inviato un messaggio di benedizione per la riapertura della casa del beato Puglisi. Oggi, alle 18, ci sarà una manifestazione in piazza Garibaldi organizzata dal centro Padre nostro.

Tratto da: La Repubblica-Palermo del 25 maggio 2014

VIDEO La casa di don Puglisi diventa un museo

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