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borsellino-manfredi0Le storie
di Salvo Palazzolo - 24 maggio 2014
I genitori della Alcide De Gasperi narrano ai figli le stragi del 1992. Ricordi personali, momenti di vita vissuta, raccolti in un libro voluto dalla scuola. Una mamma racconta dell’”ultimo sorriso” di un agente della scorta di Falcone, un’altra dello “sguardo sereno” di Francesca Morvillo mentre comprava il suo ultimo abito “per una serata con il suo Giovanni”. Un papà, allora infermiere a Villa Sofia, non dimentica la solidarietà di medici e ausiliari: “Arrivarono dieci, venti, trenta persone”. Ma è Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, a raccontare alla piccola Merope la storia di “due uomini soli”
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Una mamma ha raccontato alla figlia l’ultimo sorriso di uno degli agenti di scorta di Giovanni Falcone: «Fece un cenno gentile alle ragazze che lavoravano nella parruchieria sotto casa del giudice Falcone, in via Notarbartolo, e andò via». Un papà ha ricordato lo sguardo sereno di Francesca Morvillo, qualche giorno prima del 23 maggio: «Era entrata nel nostro negozio per comprare un abito che avrebbe indossato a Roma per una serata con il suo Giovanni ». Un’altra mamma ha raccontato invece i momenti di tensione vissuti il pomeriggio della strage: «Mio fratello era un agente delle scorte, per ore non avemmo più notizie di lui, temevamo gli fosse accaduto qualcosa». Un papà, ancora, ha descritto al figlio come proseguì quella terribile estate: «Ero stato appena assunto come infermiere a Villa Sofia, il 19 luglio c’erano poche persone in servizio. Dopo un momento di smarrimento, facemmo qualche telefonata ai reparti. La solidarietà dei colleghi fu molto generosa. Arrivarono medici e infermieri, 30 persone pronte a dare una mano d’aiuto. Nel giro di due ore arrivarono più di cento feriti. Grida, pianti, confusione».

I genitori della scuola Alcide De Gasperi hanno raccontato ai figli le stragi del 1992. E sono emersi particolari inediti di quei giorni, storie piccole e grandi di una città che ha spesso dimenticato troppo in fretta. Avevano vent’anni, o poco più, quei papà e quelle mamme che oggi sono gli autori di un libro molto particolare voluto dalla scuola. Anche Manfredi Borsellino, il figlio del giudice Paolo, ha scritto alla figlia Merope: «Due palermitani come noi, due uomini onesti e leali, uno dei quali tu hai iniziato a conoscere un po’ meglio perché si tratta di tuo nonno, dopo avere combattuto una lotta intensa e ininterrotta contro un male feroce chiamato mafia o Cosa nostra, si sono sacrificati. Il loro sacrificio è consistito nell’immolarsi affinché i più giovani, ma anche voi che ancora non eravate nati, acquisissero la consapevolezza di quanto terribilmente serio fosse quel male per troppo tempo sottovalutato, ignorato e purtroppo non combattuto da tutti coloro che avrebbero dovuto contrastarlo». Manfredi, oggi commissario di polizia, racconta alla figlia di due uomini soli. Scrive ancora: «Soli, senza lo Stato che avrebbe dovuto proteggerli come i suoi figli migliori, hanno con consapevolezza affrontato il martirio, altrettanto consapevoli però che la loro morte (apparente) non sarebbe stata vana».


Sono delle cronache essenziali quelle contenute nel libro “Io racconto”.
Una cronaca a tratti severa. Un papà ha raccontato al figlio di quando la notizia dell’attentato a Falcone fece irruzione al teatro Massimo durante l’Aida: lo spettacolo non si fermò. In molti a Palermo restarono indifferenti, anzi fecero di più. «Io sono cresciuta in un quartiere popolare», ha scritto una mamma. «A casa di una compagna dissi: “la mafia è una brutta cosa”. La mamma della mia amica mi rimproverò».
Ma in questi racconti c’è anche la ribellione di Palermo. Scrive ancora Manfredi Borsellino: «Cara Merope, già dopo l’attentato in cui perse la vita Giovanni Falcone, il più grande amico e collega di tuo nonno Paolo, Palermo si svegliò, tanti giovani e bambini della tua età si riversarono sulle strade mentre dai balconi sventolavano grandi lenzuoli bianchi, segno di purezza e di pace. Quando purtroppo venne il momento del tuo caro nonno Paolo, non solo Palermo ma tutta l’Italia si è (ri)svegliata gridando il suo sdegno». Anche gli altri genitori hanno parlato ai loro figli della ribellione dopo le stragi, della folla ai funerali, dei lenzuoli bianchi. Dice la dirigente della De Gasperi, Maria Giovanna Granata: «Tante storie di quei giorni sono diventate un unico grande racconto. Per non dimenticare, ma anche per capire cosa accadde. Abbiamo bisogno di cercarla ancora la verità sui drammatici eventi del 1992 che tanto hanno segnato la storia del paese. Noi abbiamo voluto portare il nostro contributo, raccogliendo tante testimonianze, che hanno fatto emergere particolari significativi della vita dei nostri eroi, ma anche di un’intera città, in quei giorni attonita, ma anche indifferente, per certi versi complice ».
Il racconto dei martiri si fa commuovente. «A un certo punto – prosegue il papà che faceva l’infermiere - un’ambulanza portò sulla lettiga un signore alto, robusto, immobile. I piedi uscivano fuori dalla barella. Accorremmo in tanti, lo girammo: aveva un enorme squarcio sul petto. Era uno degli uomini della scorta, ormai morto. Cosa provo ancora nel ricordare questo episodio? Sto piangendo».

Tratto da: La Repubblica-Palermo 24 maggio 2014

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