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terremoto-laquila-2014Speciale terremoto
di Flavia Amabile - 5 aprile 2014
Il 6 aprile del 2009 il sisma che fece 309 vittime
Il sentiero sterrato si arrampica intorno ad una collina di sassi e ghiaia, troppo chiari per appartenere a questo paesaggio di terra marrone, brulla della campagna abruzzese. Vengono da altrove i sassi e la ghiaia: sono i resti degli edifici dell’Aquila crollati cinque anni fa. Ricordate la montagna di macerie che occupava il centro storico dell’Aquila? E il popolo delle carriole che era sceso nelle strade per liberare la città da quell’indegno spettacolo che dopo un anno ancora paralizzava qualsiasi pensiero di poter intervenire? 

Ad un certo punto le macerie scomparvero dal centro storico e non se ne parlò più con quella abilità a volte sorprendente nel rimuovere in fretta tutto quello che non è di stretta ed evidente emergenza. A chi non era dell’Aquila parve che il problema fosse risolto. Almeno quello, in una città che ancora oggi, a cinque anni dal terremoto, non sa quando e come riuscirà a tornare nelle sue antiche strade. In realtà era stato semplicemente spostato di quattro chilometri e raccontare quello che successo significa entrare in quelle storie all’italiana in cui non si sa se all’inizio corrisponderà mai una fine.  

A cinque anni da quando sono crollati, pietre, calcinacci e laterizi degli edifici pubblici e di alcune abitazioni private dell’Aquila, si presentano ancora come una massa confusa di materiale accumulato fino ad assumere la forma di una collina in una cava in aperta campagna che già da sola è un obbrobrio nel paesaggio, un cratere aperto nel suolo e mai richiuso contro ogni norma e obbligo di legge.  

Se tutto andrà al meglio le macerie dell’Aquila andranno a riempire questo buco sanando la ferita nel paesaggio. Si chiama ripristino ambientale ed era l’unico uso consentito dalla legge nello smaltimento delle macerie possibile qui a L’Aquila, come spiega Fabio Ianni, responsabile della gestione del problema per l’Asm. Fino a prima del terremoto l’Asm era solo la municipalizzata dei rifiuti del capoluogo, si occupava di cassonetti e differenziata. Dal 2009 si è trovata all’improvviso, per legge, ad avere tra le sue competenze qualcosa di cui non sapeva nulla. “Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo lavorato duro creando una vera e propria struttura parallela rispetto a quella della raccolta dei rifiuti e siamo riusciti a liberare totalmente il centro storico che era la priorità perché per ricostruire si doveva innanzitutto rimuovere le macerie ”, racconta Ianni.  

Il lavoro è stato certosino, pazzesco a raccontarlo ora. Nel centro storico hanno lavorato fino a 170 interinali, per pulire le macerie dal materiale estraneo, le mani nei blocchi crollati per separare il materiale estraneo. Alla cava doveva arrivare soltanto la pietra, il cemento, tutto il resto andava gettato via o conservato se si fosse trattato di foto, ricordi, pezzi di vite distrutte il 6 aprile del 2009.

Le macerie, pulite, sono la collina a forma di piramide accumulata su un lato della cava di Pontignone, circa 350mila metri cubi di materiale sui 480mila arrivati. Aspettano di essere ulteriormente puliti, triturati e trattati da una potente macchina capace di trasformare in sabbia finissima anche dei macigni. Solo al termine di un lungo processo si ottiene il terreno adatto a riempire il buco secondo tutti i criteri previsti dalla legge.  

Ma se fosse stato solo un problema di macchine e pietre da triturare, il buco sarebbe stato riempito da tempo e al posto del cratere avremmo un bellissimo prato verde dove verrebbero la domenica a giocare i bambini della zona.

Invece innanzitutto sono state sbagliate le previsioni. All’inizio Vigili del Fuoco e Cnr pensavano di dover smaltire 4 tonnellate di macerie. Dopo un anno di ipotesi e sondaggi, dopo aver effettuato calcoli e vagliato le possibili alternative, si decise di utilizzare due cave, quella di Pontignone e un’altra nel comune di Barisciano. 

In realtà Pontignone da sola bastava e avanzava. Dagli edifici pubblici dell’Aquila è arrivato quasi mezzo milione di materiale. La gran parte dei privati, invece, hanno preferito fare da soli facendo partire il loro materiale per varie zone d’Italia con viaggi che costano almeno 10 centesimi per tonnellata al chilometro spesso pagati con i soldi della ricostruzione. 

Mezzo milione di tonnellate vuol dire meno della metà di quanto è necessario per riempire il cratere di Pontignone. E quindi è stato necessario chiamare in aiuto anche gli altri comuni colpiti dal terremoto. Ma lì stanno procedendo ancora più lentamente di quanto non accada a L’Aquila, ci sono centri dove nessuno sa quante macerie ci siano da smaltire. “Siamo in attesa di stime”, spiega Ianni.

"Ci hanno lasciati da soli – commenta Massimo Cialente, sindaco dell’Aquila – da soli a occuparci di un lavoro senza fine, abbiamo dovuto aprire una vera e propria discarica con tutte le difficoltà burocratiche e con una marea di controlli mentre i privati potevano fare ciò che volevano”. 

Intanto nella cava ormai espropriata dopo alcuni ricorsi che hanno ulteriormente rallentato il processo, oggi si lavora. Di fronte alla collina delle macerie c’è una scarpata di terreno fine, sono i 130mila metri cubi trattati in questi anni. Non ce la faranno mai, viene da pensare guardando l’ammasso che ancora resta da trasformare. In realtà è solo una questione di soldi. “Con i fondi attuali si possono trattare al massimo 14mila tonnellate, un mese e mezzo di lavoro poi toccherà fermarsi”, chiarisce Ianni.  

Se ci fossero i fondi in un anno e mezzo la collina di pietre chiare su cui oggi si sale attraverso il sentiero sterrato potrebbe essere trasformata tutta in un anno e mezzo.  

Servono 3 milioni di euro, è la richiesta dell’Asm all’ufficio speciale. “Aspettiamo una risposta ma sembra che si siano dimenticati delle macerie”, chiarisce Ianni. In realtà, trovare i soldi non è così complicato come sembra. Basterebbe andare a cercare nelle pieghe dei bilanci dove si nascondono voci antiche che in pochi ricordano come quelle per l’uso della seconda cava individuata e finora mai usata. Sono stati stanziati 5 milioni di euro e ne sono stati usati solo 250 mila per la progettazione, gli altri 4 milioni e 750mila euro sono fermi in attesa di non si sa bene che cosa visto che nessuno sa se si riuscirà a riempire davvero già il cratere di Pontignone. Un passaggio di fondi e l’operazione macerie potrebbe finalmente ripartire. 

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