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di-matteo-nino-web4di Domenico Ferlita - 25 gennaio 2014
A parlare è il boss di Cosa Nostra, Salvatore Riina, soprannominato Totò “u curtu” per via della sua bassa statura. Sta scontando circa 9 ergastoli da quel lontano 15 gennaio 1993, giorno in cui fu arrestato dal nucleo dei carabinieri denominato Crimor e guidato dall’allora capitano Ultimo.
Era stato sottoposto al regime di carcere duro, ovvero il 41 bis, previsto per tutti i detenuti che commettono reati di mafia.
Soltanto nel 2001, a Totò “u curtu”, è stato revocato l’isolamento e quindi, gli è stato consentito di incontrare altri detenuti durante le ore d’aria.
È durante le ore d’aria, infatti, che dall’aprile del 2013 l’ex capo dei corleonesi parla di politica e stragi assieme al criminale pugliese Alberto Lorusso. Secondo le intercettazioni della Direzione Investigativa Antimafia, infatti, Lorusso è da tempo il confidente di Riina.

Si tratta del potente boss della Sacra Corona Unita, nato 55 anni fa a Montemesola condannato a 23 anni di carcere per l’omicidio di Fulvio Costone e sottoposto al regime del 41 bis dal 2011, perché mentre era rinchiuso nel carcere di Cuneo, continuava a gestire le estorsioni nei quartieri di Brindisi, facendo uscire all’esterno del carcere messaggi in codice.
Per molti, Alberto Lorusso, definito “la dama di compagnia” del capo dei capi, è una spia dei servizi segreti, mandato appositamente nel carcere di Opera dove finora è rinchiuso Riina, per raccogliere le sue confidenze e registrare tutto.
La decisione di registrare tutto, è stata dei pubblici ministeri che tuttora indagano sulla trattativa stato-mafia. L’iniziativa è stata presa nel momento in cui in procura è arrivata una lettera anonima che parlava di un attentato ai danni del Pm Nino Di Matteo.
Una lettera che non sembrava affatto scritta dal boss di Corleone ma conteneva un linguaggio del tutto militare. È stato lo stesso Riina a rilasciare involontariamente alcune dichiarazioni agli agenti del Gom, ovvero il gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria.
Motivo che ha spinto i pm Roberto Travaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene a piazzare cimici e videocamere nel carcere di Opera che hanno permesso di risalire alle seguenti dichiarazioni rilasciate dal boss Salvatore Riina a Lorusso: durante le 9 e 16 minuti del 16 novembre 2013, Riina condivide l’ora d’aria con Lorusso e, passeggiando per il cortile, afferma: “Io dissi che lo faccio finire peggio del giudice Falcone”. Qua c’è di fare tremare i muri” dice, e Lorusso subito acconsente: “è così è così”. Dopo il segno di assenso da parte di Lorusso, il boss corleonese continua: “E allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e non ne parliamo più. Perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare, gli hanno rinforzato la scorta. E allora se fosse possibile ad ucciderlo, un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo”. Poi ricorda il fallito attentato all’allora commissario Rino Germanà: “Partivamo la mattina, da Palermo a Mazara, c’erano i soldati poverini in fila indiana a quel tempo . Era pomeriggio, tutti i giorni andare e venire, da Mazara, mentre con l’operazione Vespri Siciliani il governo centrale ha mandato sull’Isola l’esercito per gestire l’ordine pubblico. “Ma chi hanno fatto spaventare a nessuno?”. Poi continua  “Io gli ho fatto ballare la samba così, li ho fatti salire dai palazzi e scendere come fossero formiche”,  riferendosi – secondo gli investigatori – all’omicidio dell’allora procuratore di Palermo Rocco Chinnici. Così, invece, risponde il sostituto procuratore Nino Di Matteo: “quelle di Riina non sono minacce, ma intenzioni omicidiarie. Io cerco di concentrarmi sul lavoro, ma certamente saremmo degli stupidi se non avvertissimo una, credo, normale preoccupazione”. Poi, il pm continua ancora riferendosi al clima con il quale si trova a vivere negli ultimi mesi: "Credo che registrare la vicinanza di tanti semplici cittadini sia un motivo ulteriore di conforto e che questa solidarietà possa anche sopperire rispetto a qualche silenzio e perplessità di fondo e a qualche malignità di chi ha perfino messo in dubbio quello che è stato oggetto delle intercettazioni”.

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