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ciotti-libera0di Agnese Moro - 12 gennaio 2014
L’attacco, sinceramente grottesco, di cui è stato vittima in questi giorni don Luigi Ciotti da parte di un quotidiano mi dà l’occasione, o la scusa, per parlare di lui. Intendiamoci, lui non ha bisogno che io lo difenda. C’è la sua vita tutta intera a farlo. In questa rubrica varie volte si è parlato di cose nate dal suo lavoro. Ma è giusto parlare anche di lui, come persona, dal momento che in tema di costruire – e costruire cose buone – don Luigi è un ottimo esempio. Lo faccio con pudore, e con un po’ di trepidazione, dal momento che conosco la sua scarsa propensione ad usare il pronome «io», preferendogli decisamente il «noi».
Non posso fregiarmi del titolo di sua amica, ma l’ho incontrato alcune volte. Non credo che saremo arrivati a scambiarci cento parole (forse non ce ne era neanche bisogno; le sue, comunque, sempre gentili e incoraggianti), ma l’ho guardato vivere e l’ho ascoltato ogni volta con attenzione e con molto rispetto.

Mi piace il suo modo appassionato di dire le cose; il cercare il positivo, senza nascondersi le difficoltà; il tentativo di essere equilibrato, di non cedere alla retorica vuota o alla faziosità politica. Ammiro il suo impegno così intenso, forse perché un pochino so quanto è faticoso, e, nel suo caso, anche rischioso. Mi piace la combinazione di laicità e di fede di cui è intessuto il suo modo di vivere. Laicità del pensiero, delle parole, dei gesti, delle proposte; fede perché sono certa che non è facile proporsi tutti i giorni di fronteggiare mali individuali e sociali senza provarne anche scoraggiamento, delusione e stanchezza. Se si prosegue vuol dire che si ha fede.
Ma la cosa che più profondamente mi commuove di don Luigi è la sua capacità di accogliere il dolore degli altri. L’ho visto nel rapporto che ha con i familiari delle vittime innocenti di mafia; nel cercare di non lasciarle sole con la memoria dei loro cari e con le loro vite inevitabilmente difficili. Facendo io parte di un diverso segmento del, purtroppo, vasto mondo delle vittime, che non ha avuto, se non in rari e preziosi casi, una simile fortuna, capisco quanto inestimabile sia l’essere visti nel proprio dolore, e accolti. Cose immateriali, che non si vedono, come invece si vedono tante validissime cose di cui don Ciotti è il propulsore. Ma che, non di meno, concorrono in maniera importante a nutrire quella forza silenziosa che chiamiamo «il bene».

Tratto da: La Stampa del 12 gennaio 2014

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