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dali-antonio-web4di Enzo Guidotto - "EXTRA" rivista bimestrale di Trapani - Ottobre 2013
«Assolto, Presidente! Assolto! Ce l'abbiamo fatta: abbiamo vinto!» gridò al telefono nel 2004 l'avvocato Giulia Bongiorno a Giulio Andreotti sentendo le prime frasi del verdetto della Cassazione che chiuse definitivamente il procedimento a suo carico per i rapporti coltivati con esponenti di Cosa Nostra. «Fortunato! La gobba ha fatto la sua parte!» ironizzò lì per lì qualcuno. Subito dopo, però, conclusa la lettura del dispositivo, all' euforia dell'istante seguì per entrambi una delusione profonda e duratura: in realtà, la Corte aveva sentenziato da un canto la prescrizione del reato fino alla primavera del 1980 e dall'altro l' assoluzione per il comportamento assunto in seguito, ma in base alla formula dubitativa contemplata dal secondo comma dell'articolo 530 del codice di procedura. Altro che vittoria! Se la sentenza fosse stata emessa prima e le prove non fossero state inquinate e carenti per varie forme di omertosa complicità di non pochi testimoni, Andreotti avrebbe subìto una condanna a 360 gradi. La gobba, quindi, aveva sì funzionato, ma soltanto a metà. Stando all'insistente versione artefatta dei falsi garantisti che continuano a difendere a spada tratta l'immagine del "Divo" ormai defunto, ci sarebbe stata invece una assoluzione senza riserva alcuna. Caso isolato? Purtroppo, il guaio è che in vicende del genere la tendenza all'abile occultamento di significativi particolari si manifesta ogni qualvolta l'imputato è il "potente" di turno, grande o piccolo che sia.

«Assolto D'Alì» è stato, ad esempio, il 30 settembre scorso il titolo della prima - ma rilanciata - notizia di Telesud. Nei confronti del parlamentare, processato per concorso esterno in associazione mafiosa - si legge ancora nel relativo sito - il  giudice Giovanni Francolini ha emesso una sentenza di non luogo a procedere per avvenuta prescrizione in ordine al reato contestato fino al gennaio 1994 e di assoluzione per il periodo successivo perché il fatto non sussiste. D'Alì come Andreotti? Non del tutto: differente è il tipo di prescrizione - reato «estinto» per il primo, «commesso» per il secondo - ma identica finora l'assoluzione. Per l'opinione pubblica che ripone cieca fiducia nel  telegiornale nostrano, però, in assenza del doveroso approfondimento della decisione del GUP, non ci sono  dubbi: si è trattato di assoluzione piena e incondizionata. Basta fare qualche sondaggio terra terra. E meno male che quel telegiornale non ha citato testualmente il punto in cui il giudice ha commesso un evidente errore dichiarando la prescrizione valida «fino ad epoca successiva e prossima al 10 gennaio 1994»: sarebbe stata la … conferma ufficiale dell'uscita del tutto indenne dal processo. Il magistrato avrebbe dovuto scrivere «epoca precedente», non «epoca successiva», ma errare è umano. Semplice distrazione o lapsus da timore riverenziale?
Ma da dove è scaturito, di preciso, l'equivoco nel quale è caduta la gente? Indubbiamente dalla mancata spiegazione del significato dell'assoluzione perché «il fatto non sussiste». L'espressione tra virgolette si legge nel primo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale laddove però, alla fine, viene precisato che il giudice deve indicare al riguardo «la causa nel dispositivo» della sentenza. E nel dispositivo della sentenza, in premessa, si precisa che la decisione - come nel caso Andreotti - è stata presa «visto l'articolo 530, comma 2»  in base al quale l' assoluzione può essere pronunciata «anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile». Formula assolutoria dubitativa anche questa, dunque, dovuta a quanto pare al fatto che  fino al momento del verdetto - secondo il libero convincimento del GUP  che sarà illustrato nelle motivazioni - non esistevano le condizioni che potessero giustificare una condanna.
dali-dispositivo-sentenza-La questione è chiarissima, ma il giorno dopo, riportando commenti, Telesud, ribadisce quanto già sostenuto senza alcun cenno al secondo comma, per cui nei telespettatori che seguono solo l'emittente locale si è consolidata la convinzione che dal 1994 in poi ci sia stata l'assoluzione piena. In compenso però il telegiornale ha dato per «quasi scontato il ricorso in appello, cosi come sembrerebbe sia filtrato in queste ore da ambienti investigativi». Se viene avanzata da Telesud e non dalle solite "malelingue", l'ipotesi è sicuramente realistica. A suo tempo, anche Andreotti, oltre alla Procura generale di Palermo, avanzò la richiesta appunto perché la sentenza era rimasta sul generico, ma la Cassazione rigettò tutto. Ecco una ulteriore differenza, stavolta negativa per D'Alì: il sette volte presidente del Consiglio è passato ad altra vita con un'assoluzione dubitativa ma definitiva per i fatti dal 1980 in poi; l'ex sottosegretario si trova invece alle prese con un giudizio che, per il periodo successivo al 1994, è da ritenere provvisorio e quindi non si può escludere che sia suscettibile di modifiche peggiorative. E, non essendo provvisto di gobba portafortuna, i … 'cattivi' cominciano a pensare  che ancora per un po' non avrà sonni tranquilli. D'altra parte, qualche precedente in materia non manca. Basta pensare al caso di Bruno Contrada, l'ex 007 del SISDE: condanna, assoluzione «perché il fatto non sussiste», condanna definitiva per lo stesso reato per il quale il senatore è stato imputato.
Questa la prospettiva sul piano giudiziario. E su quello dell'etica pubblica? Con l'aria che tira, poco o nulla possono valere gli attestati di stima degli "amici degli amici" di partito, da Renato Schifani, che in tema di concorso esterno si trova tra color che stan sospesi, a Silvio Berlusconi, tributario di Cosa Nostra, pregiudicato per evasione fiscale, decaduto a metà da senatore, interdetto dai pubblici uffici e via dicendo. Ma D'Alì va comunque fiero degli "apprezzamenti d'autore". «La prima persona che mi ha chiamato per congratularsi è stato Berlusconi»  è stato il suo primo commento. «Mi ha detto: "Abbiamo fatto bene a candidarti, perché siamo sempre stati convinti della tua correttezza". Sono una persona perbene, prendo atto che ci voleva una sentenza per affermarlo. L'assoluzione è la conferma dell'assoluta correttezza con cui ho sempre svolto la mia azione politica».
Mah! La prima volta che lo vidi risale al 23 maggio 2002, in occasione delle manifestazioni organizzate dalla "Fondazione Falcone" per far memoria della 'Strage di Capaci': accanto al Ministro per la Giustizia Roberto Castelli posava in prima fila in una chiesa palermitana durante la messa in onore di Giovanni Falcone e degli agenti della scorta. «La radicalità, istanza forte del Vangelo, non ammette compromessi e debolezze», fu l'esclamazione più forte del celebrante, che provocò nei politici presenti un lieve sussulto mascherato dal solito finto colpetto di tosse. Fui presente anche nella ricorrenza del 2007, quando il Ministro della PI Giuseppe Fioroni, davanti a tanti studenti provenienti da varie parti d'Italia, presentò le sue "Linee di indirizzo" contenenti un paragrafo dal titolo «Educazione alla legalità finalizzata alla lotta alla mafia» che avevo contribuito ad elaborare al Ministero in qualità di membro del "Comitato Nazionale Scuola e legalità". Bisogna far conoscere ai giovani - è scritto nel testo - il fenomeno mafioso, ormai presente in tutto il Paese, facendo capire che la sua pervasività pone «il rischio di sempre maggiori inquinamenti  del sistema economico e delle Istituzioni pubbliche». Da ciò l’esigenza - raccomandata già con un decreto del 1958 - di impostare l'azione educativa in modo tale da «radicare il convincimento che morale e politica non possono legittimamente essere separate».  I due documenti sono coerenti con l'articolo 54 della Costituzione: «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». E, com'è noto, i parlamentari, i sottosegretari e i ministri giurano, eccome!
Per questo, allora - come in questi giorni - mi tornarono in mente le inchieste trapanesi 'mafia e appalti', gli articoli che avevo pubblicato in proposito su 'Extra', i personaggi che avevo visto in prima fila in chiesa, e soprattutto la lezione sul tema 'Mafia, problema nazionale' che Paolo Borsellino aveva tenuto stando al mio fianco in una scuola di Bassano del Grappa nell'ormai lontano 1989. «L’equivoco su cui spesso si gioca  è questo: si dice che quel politico era vicino al mafioso, però la magistratura non l’ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va! La magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, però siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri poteri dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi, che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati dati perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza». Parole sante! «Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani» scrisse tanti secoli fa Tertulliano da Cartagine. Ma siamo sicuri che in questo campo tutti i cristiani - e/o i sedicenti tali - dimostrino di avere una coscienza fertile?

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