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repici-fabio-web0di Fabio Repici - 10 ottobre 2013
Le righe che scrivo, queste impressioni d’udienza, sono un esercizio particolarmente difficoltoso. Un po’ perché la storia che voglio raccontare è particolarmente complicata, un po’ perché sono impressioni rispetto a un’udienza alla quale non sono stato presente, un po’ – anzi, soprattutto – perché si tratta di un processo che non mi vede spettatore ma, semplicemente, imputato: per questo cronache dalla contumacia, giacché ieri, quando si è celebrata l’udienza di cui ora dirò, ero impegnato, da avvocato difensore stavolta, da un’altra parte.
Devo fare una premessa, per ricordare alcuni avvenimenti. Era accaduto che un illustre docente dell’università di Messina, integerrimo esponente politico e uomo coraggioso nella denuncia del crimine, si era tolto la vita, il 2 ottobre 2008. Adolfo Parmaliana aveva avuto modo, nell’ultima fase della sua vita, di onorarmi della sua amicizia. Fatto è che nella sua ultima lettera, lasciata in punto di morte, onerò me, insieme ad altre quattro persone (la mia collega Mariella Cicero, il senatore Beppe Lumia, il maggiore Domenico Cristaldi, il mio collega Biagio Parmaliana, suo fratello), di non far cadere nel dimenticatoio la sua storia: “la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che st(ava) subendo”. Cercai, cercammo, di farlo nel modo più fedele, trascurando di considerare quali ne sarebbero stati gli effetti: non c’era altro modo di rispettare la volontà di Adolfo. Certo, immaginando da subito quanto sarebbe stato gravido di conseguenze quel pesantissimo fardello di esecutore di un testamento morale.

Accadde che l’1 ottobre 2009 ricordammo Adolfo al suo paese, Terme Vigliatore. Da lì a breve sarebbe stata pubblicata la biografia di Adolfo Parmaliana, scritta da Alfio Caruso per Longanesi (“Io che da morto vi parlo”). Ne era derivato il terrore negli ambienti che avevano avversato Adolfo in punto di morte, soprattutto dalle parti dell’allora Procuratore generale Antonio Franco Cassata, tanto che in previsione di quel libro era stato divulgato l’osceno dossier anonimo per il quale il 24 gennaio di quest’anno Cassata è stato condannato per diffamazione (il prossimo 23 ottobre inizierà l’appello). Nell’occasione di quell’incontro pubblico intervennero tre disturbatori a provocare, per tentare di intossicare il clima. Uno dei tre fu l’imprenditore Sebastiano Buglisi, che, con inusitata sfrontatezza, si impossessò del microfono per dire, davanti alla faccia sbigottita e addolorata dei suoi familiari, che Adolfo negli ultimi tempi era impazzito. Sottinteso ma neanche tanto: l’ultima lettera di Adolfo è la lettera di un pazzo. Nemmeno Franco Cassata e Olindo Canali (l’altro magistrato cui Adolfo, senza farne il nome, aveva fatto riferimento nella sua lettera) avevano osato tanto. Ripresi la parola e, all’ennesima provocazione verbale di Buglisi, gli ricordai che la mia memoria era senz’altro migliore di quella di chi, come lui, si era ricordato di denunciare l’estorsione subita ad opera di mafiosi pecorai di Tortorici e non invece quando era provenuta dal clan Lo Piccolo (di Sebastiano Buglisi e del figlio Gaetano – oggi in carcere per presunte truffe nel fotovoltaico in Puglia – e di un appalto in provincia di Palermo diceva un pizzino sequestrato al momento dell’arresto di Salvatore e Sandro Lo Piccolo): trascurai di segnalare anche i silenzi di Buglisi sui vertici della mafia barcellonese.
Sebastiano Buglisi mi querelò. Poco dopo fui interrogato dal Procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto, Salvatore De Luca, e da un suo sostituto. Per spiegare in modo comprensibile “la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni” subite da Adolfo Parmaliana e per spiegare i motivi della sortita di Buglisi alla commemorazione di Adolfo dovetti parlare di tante cose: tra le altre, del dr. Cassata, del dr. Canali, dei rapporti del dr. Canali e di un avvocato con esponenti dei servizi segreti, di Buglisi naturalmente e dell’avv. Ugo Colonna, suo amico oltre che difensore. Fatto è che a quel punto i magistrati della Procura di Barcellona, e il dr. De Luca per primo, chiesero di astenersi perché in quel momento il dr. Canali non era ancora fuggito a Milano e prestava servizio proprio in quell’ufficio.
La domanda di astensione del Procuratore De Luca arrivò sul tavolo del Procuratore generale. Cassata no, lui – che era citato nel verbale, che era stato denunciato da Adolfo, che era stato denunciato da me, che mi aveva denunciato – incredibilmente non si astenne. Anzi, applicò una procedura contra legem. Accogliendo la richiesta di astensione di De Luca, anziché assegnare il fascicolo ad altro sostituto della Procura di Barcellona, o a magistrato di altra Procura del distretto di Messina, o a un magistrato della stessa Procura generale, designò una magistrata della Procura di Reggio Calabria, cioè un magistrato requirente di un distretto non ricadente sotto la sua competenza. Quella magistrata, letto il mio interrogatorio, iscrisse erroneamente il procedimento (che era a mio carico per diffamazione, secondo il titolo di reato iscritto presso la Procura di Barcellona Pozzo di Gotto) sul registro delle notizie di reato della Procura di Reggio Calabria, perché “risultano denunciati fatti di competenza” della Procura reggina “essendovi coinvolti magistrati in servizio presso il Distretto di Corte di Appello di Messina”.
A quel punto, ritualmente, l’allora Procuratore reggino Pignatone assegnò il fascicolo al sostituto Federico Perrone Capano, che già si stava occupando di Barcellona Pozzo di Gotto, del suicidio di Adolfo, di Canali e di Cassata. Completate le indagini, Perrone Capano, per regolarizzare la competenza per territorio sulla querela di Buglisi (che era della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto), trasmise il fascicolo al Procuratore De Luca, segnalando di essere pronto a definire il procedimento, nel caso in cui fossero state ancora attuali (nel frattempo Canali era trasmigrato al Tribunale di Milano e dopo il suo allontanamento a Barcellona erano arrivati nuovi pubblici ministeri) le ragioni di astensione di De Luca e dei suoi sostituti e di nuovo dalla Procura generale di Messina fosse stato prescelto extradistrettualmente un magistrato della Procura di Reggio Calabria. De Luca si astenne nuovamente, “anche a nome di tutti i magistrati” della Procura di Barcellona e per il fascicolo a mio carico ripartì l’anomalo gioco dell’oca. Successiva tappa, Procura generale: qui di nuovo Cassata non si astenne (e perché mai? Nulla da sospettare, in effetti, sulla sua imparzialità nei miei confronti e nelle vicende riguardanti Adolfo Parmaliana, tanto più che in quel momento era appena stato rinviato a giudizio, su querela sporta da me per conto della moglie di Adolfo, per la diffamazione commessa col lurido dossier anonimo), non designò altro magistrato della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto né di altre Procure del distretto messinese né della Procura generale. Di nuovo assegnò il fascicolo a magistrato extradistrettuale selezionandolo presso la Procura di Reggio Calabria. Questa volta non il dr. Perrone Capano ma tal dr. Tenaglia, abruzzese. Nel mio gioco dell’oca era la casella del pegno. Tenaglia, infatti, mutando evidentemente orientamento rispetto al suo predecessore, una volta andati via da Reggio Calabria il Procuratore Pignatone e il sostituto Perrone Capano, decise di rinviarmi a giudizio.
Sono finito imputato innanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in composizione monocratica, per il reato di diffamazione aggravata. Processo che è cominciato, per l’appunto, ieri mattina. In previsione dell’udienza, intanto, avevo depositato la lista con l’indicazione dei testimoni attraverso il cui esame volevo dimostrare che non avevo commesso diffamazione ai danni di Buglisi: lo stesso Sebastiano Buglisi, suo figlio (quello per ora in vinculis, già socio del figlio di Cesare Previti in società offshore), il capomafia barcellonese che di Buglisi era stato dipendente, il dr. Canali e alcune persone presenti all’incontro dell’1 ottobre 2009 (Biagio Parmaliana, Sonia Alfano, Beppe Lumia). Ieri l’udienza, che ha avuto dell’incredibile.
Come pubblico ministero ci si aspettava che arrivasse da Reggio Calabria il dr. Tenaglia. Nessuna traccia di lui. C’era un sostituto della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto, il dr. Giorgio Nicola (uno di quelli a nome dei quali si era astenuto De Luca). Al mio difensore, stranito per quella presenza, il pubblico ministero spiegava che i magistrati della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto avevano revocato l’astensione a suo tempo formulata. A spaccare il capello in quattro, si era trattato, più propriamente, di una domanda di astensione. Ancora nell’ordinamento non è stato introdotto il concetto proprietario del fascicolo, cosicché un magistrato, sia esso giudicante o p.m., può solo chiedere di astenersi dalla sua trattazione ma quella domanda di astensione deve essere valutata da un superiore, che in caso di accoglimento designa altro magistrato. E l’accoglimento della domanda di astensione dei magistrati della Procura di Barcellona, anche quello revocato? E l’assegnazione del fascicolo al dr. Tenaglia, anche quella revocata? E da chi? E su istanza di chi? Mah.
Sebastiano Buglisi si è costituito parte civile col patrocinio dell’avv. Ugo Colonna (quello del mio interrogatorio, per lui nessuna ragione di astensione) e subito ha proposto eccezione di incompetenza per materia: per semplificare, secondo il difensore di Buglisi non si è trattato di una diffamazione aggravata ma del reato, meno grave, di ingiuria. Non sarebbe stata una differenza da poco, se il decreto di citazione a giudizio avesse previsto l’imputazione di ingiuria anziché di diffamazione: la competenza, infatti, anziché del Tribunale sarebbe stata del Giudice di pace. Sennonché, l’eccezione di incompetenza è stata rigettata dal Giudice, posto che nel decreto di citazione a giudizio risultava (risulta) l’imputazione di diffamazione e che, nel caso, solo il giudice e solo alla fine del dibattimento potrebbe operare la derubricazione dell’imputazione.
A quel punto è accaduto l’imprevedibile. Il p.m., chissà se influenzato dall’intervento del difensore di parte civile, ha riformulato l’imputazione, sostituendo l’ingiuria alla diffamazione. Ora, il codice prevede che in corso di istruttoria dibattimentale, il p.m. può, alla luce di prove frattanto acquisite, contestare all’imputato un reato ulteriore e connesso rispetto a quello originario, oppure un’ulteriore circostanza aggravante, oppure può sostituire il titolo di reato contestato con uno più grave. Ecco, mai però è accaduto a mia memoria – e infatti il legislatore, in ossequio al principio dell’irretrattibilità dell’azione penale, ha disposto che cui le valutazioni sulla sussistenza dei reati o sulla loro eventuale derubricazione, una volta esercitata l’azione penale, spettano indiscutibilmente al giudice – che un pubblico ministero, a processo iniziato, modificasse l’imputazione minorandola (come se a un imputato di omicidio premeditato in corso di dibattimento l’addebito fosse ridotto dal p.m. in lesioni colpose). “E di che ti lamenti” - mi si potrebbe dire - “se il p.m. ha cambiato idea a tuo apparente beneficio?”
Ecco, proprio questa è la questione (trascurando, per ora, che sono convinto che l’atto d’ufficio del p.m., illegittimo, sia stato compiuto in mio danno, ciò per cui avrò da fare ulteriori riflessioni). L’iniziativa del p.m., più che anomala mi è parsa adesiva, se non funzionale, al desiderio espresso dalla parte civile di far celebrare il processo innanzi al Giudice di pace. Ora, non è normale, proprio per nulla, anzi è irragionevole, che una parte civile desideri la celebrazione del processo innanzi a un giudice inferiore. E io quando le cose sfuggono, almeno all’apparenza, al loro ragionevole corso mi insospettisco. Tanto più visto che l’iniziativa del p.m. è stata contra legem (almeno secondo i giudici della Corte di cassazione). E il mio sospetto non è certo dovuto al fatto che il coordinatore dell’Ufficio del Giudice di pace di Barcellona Pozzo di Gotto sia persona notoriamente legata al dr. Cassata (il cui nome compare, come detto, agli atti del fascicolo) e sia iscritto al noto circolo barcellonese Corda Fratres (sodalizio il cui nome pure ricorre nel fascicolo).
Non è per quello. È che Barcellona Pozzo di Gotto, come mi capita di ripetere ormai da quasi quindici anni, è una specie di mondo alla rovescia, che purtroppo fino a oggi è sfuggito all’attenzione dei grandi mezzi di informazione e degli organi centrali dello Stato. Ma almeno la giurisdizione pretenderei che non funzionasse a testa in giù. Lo dico da esecutore del testamento morale di Adolfo Parmaliana. E pure da imputato, orgogliosamente, perché certe querele sono titoli di merito.

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