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giordano-pippo-web2di Pippo Giordano - 9 ottobre 2013
Mi perdonerà Platone se oggi sono in disaccordo con lui quando ci racconta, a proposito del Mito di Er, che ognuno di noi è artefice del proprio destino. La mia contrarietà si materializza per l'accanimento, costante, perseverante nei confronti di un uomo, Antonio Ingroia. Un uomo, verso il quale si ripercorrono strali, contumelie, offese, richieste a iosa di punizioni ed ora indagato dalla procura di Caltanissetta. E quindi, sono altri gli artefici del destino di Ingroia. Ma cosa ha fatto Ingroia per meritarsi tutto questo? Non ha fatto assolutamente nulla, se non il proprio dovere, ovvero ricercare la verità sulle pagine più oscure della Repubblica. Si è speso affinché quel “fresco profumo di libertà”, tanto caro a Paolo Borsellino si materializzasse nel cielo di Palermo: cielo abituato a foschie volutamente innalzate per ammantare le verità sulle stragi e sulla trattativa Stato/mafia. E se oggi c'è un processo a Palermo, parte del merito è anche di Ingroia. Tuttavia, egli ha avuto la “colpa” di far spendere soldi alla comunità, riaprendo le indagini su “cose vecchie”, come ebbe a dichiarare il pregiudicato Silvio Berlusconi. Ma non posso non fare paragoni con chi ha dato la vita per la Giustizia, offesi da vivi e omaggiati da morti, Falcone e Borsellino, con altri che dalla loro funzione ne hanno tratto ingenti benefici, mentre Ingroia per essere coerente e “partigiano della Costituzione”, è stato messo alla gogna.

Quello che non riesco a capire pur sforzandomi, è come mai la classe politica, attenta a tutto quel che gira attorno ad Ingroia, non si è domandata perché ci sono voluti anni e anni per capire che nella strage di via D'Amelio era stato consumato il più grande depistaggio di questo Paese. Eppure, se non vado errato, già qualche anno fa lo stesso Gaspare Spatuzza ne aveva parlato a due insigni magistrati. Sono convintissimo e lo dico a ragion veduta, che se quell'interrogatorio fosse stato condotto da Ingroia, l'accertamento della verità avrebbe avuto una notevole accelerazione. Non mi stupisco di Ingroia indagato, non mi stupisco che tanti presunti “amici” lo hanno allontanato. In Italia funziona così: è una costante della patria dei voltagabbana. Ma io preferisco un Ingroia indagato che ha il coraggio di morire per un ideale, piuttosto che vederlo vivere da vigliacco: di vigliacchi sono pieni gli ambulacri del potere. Sino a quando questo Paese non prende coscienza che l'etica e la morale non sono parole vuote, noi avremmo quei rigurgiti ai quali ha fatto riferimento Giovanni Falcone, ossia il prolificarsi di “menti raffinatissime”. Chi vuole la morte sociale di Antonio Ingroia? In un Paese dove un ottantenne giornalista viene arrestato, mentre un altro potente graziato. In un Paese dove la verità su 4 telefonate è un optional, in un Paese colabrodo dove le fughe di notizie hanno rappresentato il male assoluto, si indaga Antonio Ingroia. Dottor Antonio Ingroia, non si preoccupi le persone per bene di questo Paese, io per primo, sono con lei. Una divagazione: esprimo l'auspicio che dopo le dichiarazioni rese da Gioacchino Genchi ai magistrati nisseni, si raggiunga la verità sulle stragi di Capaci e via D'Amelio. Le dichiarazioni di Genchi sono “illuminanti” solo per chi vuol davvero vedere la luce.

ANTIMAFIADuemila
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