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dalì-damiano-lupi-faziodi Rino Giacalone - 13 luglio 2013
Trapani continua a stupire
. Scopre che i mafiosi e i loro complici continuano a vivere tranquillamente, e non si indigna. La mafia che qui è quella fatta dai borghesi, dai baroni, dai politici e dai colletti bianchi, nonostante i colpi inferti può permettersi di fare spallucce alla crisi che attanaglia ogni cosa, tutto e tutti, tranne Cosa nostra che continua a vivere mentre tanti altri anche per colpa sua sono costretti a sopravvivere, e i trapanesi cosa fanno? Invece di cercare la rivolta contro la mafia ed i collusi, protestano, sbraitano, scrivono su Facebook dove se la prendono con… chi indaga e chi giudica, con i giornalisti che scrivono e raccontano, c’è addirittura chi scrive le proprie verità condite da una sorta di analfabetismo giudiziario che si rifiutano di correggere anche quando gli errori vengono fatti notare, c’è chi scambia le prescrizioni per assoluzioni, le condanne se colpiscono un colletto bianco sono sempre ingiuste, le assoluzioni vengono brandite per tentare l’assalto ai cattivi del Palazzo di Giustizia, magari poi sono questi gli stessi trapanesi che celebrano Paolo Borsellino dimenticando una delle più importanti lezioni del magistrato quando parlando agli studenti di Bassano del Grappa disse che non è vero che le assoluzioni sono sempre pronunce di piena discolpa, “la giustizia può non avere le prove per condannare, può non esserci la colpa penale, ma in quelle sentenze possono essere trovate gli elementi per la condanna morale”.

Dinanzi ad alcuni fatti servirebbe fermarsi un attimo, riflettere e dimostrare magari, con i fatti, che non è , come appare, cioè che non è vero che la mafia ha inquinato anche la cultura, il modo di pensare. Tentativo arduo, ma non è per questo che non viene praticato. E’ perché la convivenza è così profonda che oramai non si coglie più la linea di demarcazione Stato e antistato, tra mafia e legalità, anzi qui a Trapani l’illegalità è diventata tanto sistema da essere diventata sistema legale. Tante volte queste sono state ascoltate in incontri e convegni più o meno affollati, ma dirle in un dibattito va bene, e certe volte nemmeno mica tanto bene, ma praticare questi comportamenti, questi distinguo non è cosa dei trapanesi. A Trapani non si parla di mafia, si “sparla” dell’antimafia, tutti i mali della città, a sentire alcuni che sono sprovveduti, ma tra loro ci sono anche gli ignavi ed i complici dei boss, dicono che è nell’antimafia che bisogna cercarli. E se a dirlo in un certo senso è anche l’attuale sindaco, Vito Damiano, che è un ex generale dei carabinieri, la qualcosa fa comprendere come si sta da questa parti. Pensate il sindaco Damiano professa tanto la legalità che si teneva una giornalista per l’ufficio stampa senza nemmeno una lettera di incarico, permettendole di usare le strutture dell’ufficio pubblico, facendola presentare come suo addetto stampa. Un lavoro completamente abusivo. Per non parlare di altre sue uscite, a scuola non bisogna parlare di mafia, e i mafiosi se proprio se ne deve parlare meglio chiamarli malandrini. Damiano oggi litiga su tutto con il suo predecessore Fazio, ma tutti e due, stessa estrazione politica, centrodestra e Pdl, hanno avuto uno stesso comportamento su due fatti, la mancata consegna della cittadinanza onoraria al prefetto Sodano chiesta da tantissimi trapanesi, e la mancata costituzione come parte civile nel processo contro il senatore pidiellino e indiscusso deus ex machina della città, il barone ed ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì. D’Alì è sotto processo a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa, i pm hanno chiesto per lui 7 anni e 4 mesi. D’Alì ha voluto dapprima Fazio come sindaco, e lo è stato per 10 anni, l’anno scorso la sua preferenza è caduta su Damiano, ed ha vinto, ancora ha vinto. Ed ha vinto a febbraio quando Berlusconi lo ha rivoluto candidato, e lui ha contraccambiato consegnandogli ancora una volta una messa di voti in provincia di Trapani.


Andiamo con ordine. La scena che descriviamo è quella del porto della città. Qui si giocano grosse partite. Girano tanti interessi. Sul porto si giocano le partite elettorali. E’ quel porto sulla cui milionaria trasformazione la mafia ha affondato le sue mani prendendo tanto e lasciando cantieri incompleti e irregolari. I milioni furono spesi di corsa nel 2005 per fare spazio al grande circo della Coppa America, venuta qui a disputare alcuni act preliminari, quelli della Louis Vuitton Cup. Il cosidetto “Grande Evento” celebrato addirittura con strada “battezzata” per l’appunto “via dei Grandi Eventi”. Fu detto che da quel momento Trapani si sarebbe riappropriata del suo porto, che sarebbe tornato ai suoi antichi lustri commerciali, la “via dei Grandi Eventi” si apre proprio di fronte ad uno dei più grandi cantieri navali di Trapani, oggi questo cantiere è chiuso, l’ufficiale giudiziario ha apposto i sigilli del fallimento, i sogni di gloria non sono nemmeno cominciati, sono finiti ancora prima che potessero davvero cominciare. Il cantiere è fallito e qualche giorno addietro senza destare rumore e proteste un paio di rimorchiatori hanno portato via da quel cantiere una petroliera la cui costruzione doveva segnare la rinascita. La “Marettimo M.” è stata inaugurata e varata più di una volta, perché bisognava far festa, si dovevano osannare i potenti che avevano portato a Trapani quella commessa, ma la petroliera è rimasta incompleta. E quelle erano feste che servivano come specchio per le allodole. Per molti mesi hanno protestato gli operai di quel cantiere che si sono visti senza stipendi prima e licenziati dopo. Ma lo hanno fatto da soli. Senza nemmeno avere dalla loro parte i sindacati. La petroliera “incompleta” è stata portata via (destinazione i cantieri navali di Palermo), segnando davvero la crisi irreversibile della cantieristica, inghiottendo tanti posti lavoro, ma tutto questo è avvenuto attorniato da un assordante silenzio. Come a volere dimostrare che chi doveva arricchirsi col porto c’era riuscito e tutto il resto non interessava davvero a nessuno. Le voci di quegli operai si sono anche affievolite ma non spente del tutto, solo che non c’è più chi li ascolti, non li hanno ascoltati per mesi le istituzioni, la prefettura, il Comune, la società civile, ci provò una volta Libera a mettersi al loro fianco organizzando una cena nel cantiere allora occupato, ma i titolari diffidarono ogni estraneo ad entrare, e la cena non si fece più. Oggi c’è solo silenzio al porto. A lavorare sono alcuni cantieri privati, fanno solo diporto, ma con bassi livelli occupazionali, sta cercando di attrezzare un cantiere la compagnia Ustica Lines dell’armatore Vittorio Morace, l’artefice della promozione recente in serie B del Trapani. A lui il sindaco Damiano per i successi sportivi ha deciso di conferire la cittadinanza onoraria. L’armatore Morace sta costruendo un cantiere in una zona che con un colpo di mano sarebbe stata sottratta dall’Autorità Portuale al consorzio per l’area di sviluppo industriale. Il consorzio fece causa al ministero dei Trasporti per l’azione condotta dall’Autorità Portuale. Ma quando ci fu da discutere il rilascio della concessione a Morace per costruire ilo suo cantiere, alla conferenza di servizio apposta convocata in Capitaneria il consorzio asi dimenticò di opporsi. Presidente frattanto del consorzio era diventato l’imprenditore Giuseppe Maurici che da lì a poco si sarebbe candidato a sindaco di Trapani, e l’armatore Morace lo ha pubblicamente sostenuto, con tanto di annuncio pubblicitario comparso sul Giornale di Sicilia. Morace pare conoscere molto cosa sia la riconoscenza. Qualche mese addietro la Questura e La Finanza hanno sequestrato i beni proprio a quell’imprenditore che ha lasciato incompleto i cantieri del porto, Francesco Morici, e che intanto stava costruendo il nuovo cantiere di Morace e per qualche settimana alle dipendenze di Morace ha lavorato la figlia dell’imprenditore colpito dal sequestro, per poi essere licenziata quando la notizia ha raggiunto gli uffici investigativi. Morace è anche buon amico dell’attuale questore di Trapani, Carmine Esposito, forse quel licenziamento lo ha fatto per non imbarazzare l’eccellente amico. Il sequestro dei beni all’imprenditore Morici, chiesto proprio da Esposito, dopo un lavoro certosino svolto dal capo della divisione anticrimine Giuseppe Linares, ha fatto tremare l’apparente impassibile Trapani. Sono venuti fuori i collegamenti di quell’imprenditore che sarebbe stato molto vicino ai boss della mafia, con la politica. Due nomi su tutti: quello del senatore D’Alì e del sindaco Fazio. Vincenzo Morici, figlio di Francesco, e socio col padre di un impero imprenditoriale, ai tempi della Coppa America si presentava già presso le imprese che dovevano fornire i materiali sicuro del fatto suo e cioè che quelle commesse per il porto sarebbero state sue, e così è stato, proprio perché, avrebbe detto, dalla sua parte aveva il senatore D’Alì. Ancora Morici figlio che affrontava i suoi collaboratori per far loro fretta per concludere alcuni lavori di risanamento del centro storico della città, perché il sindaco Fazio gli aveva chiesto di fare presto in vista di imminente elezioni. E l’ex sindaco Fazio, nel frattempo diventato deputato all’Assemblea Regionale Siciliana dapprima ha protestato per le notizie uscite, poi ha cercato sponda ancora nel questore Esposito, anche lui è un buon amico del capo della Polizia trapanese. E deve avere chiarito se anche questa amicizia continua. Stasera, sabato 11 luglio, il questore Esposito ha organizzato un concerto per i suoi funzionari, tra gli ospiti uno dei “saggi” del presidente Napolitano, il prof. Pitruzzella, e unico politico invitato proprio l’on. Mimmo Fazio. Il senso dell’amicizia è forte. Anche quando l’amico è un politico condannato con due sentenze definitive per tentata violenza privata e abuso. Ma a Trapani l’on. Fazio è amato e non si vede l’ora che l’attuale primo cittadino Damiano esca di scena perché i trapanesi rivogliono Fazio come sindaco. Nonostante tutto.

Scena seconda. Campagne di Castellammare del Golfo. Qui ha insediato il suo potere di imprenditore vicino al boss Matteo Messina Denaro, il pacecoto Michele Mazzara. Qualche mese addietro ha subito un sequestro di beni. Società e terreni per 25 milioni di euro. Anche uno dei più grandi alberghi di San Vito Lo Capo, il Panoramic. Mazzara tempo addietro ha patteggiato una condanna per avere dato ospitalità al latitante Matteo Messina Denaro. Ma di questa circostanza nessuno a Trapani se ne è mai ricordato. Mazzara chiusa la vicenda giudiziaria ha esteso le sue attività. Addirittura pensava anche di finanziare la realizzazione di un documentario sulle bellezze ambientali di Trapani per cancellare la macchia della presenza mafiosa. Intanto acquisiva imprese e terreni. Venerdì scorso altro sequestro, quello di una azienda agricola che era già sottoposta ad amministrazione giudiziaria. A casa sua durante una perquisizione i poliziotti e i finanzieri hanno trovato le carte e le copie di atti relativi a quella società nella quale lui ufficialmente non aveva alcun ruolo. E invece si è scoperto che era lui il vero titolare e gli intestatari dei prestanome. Era lui che si occupava di assunzioni, della vendita dei prodotti, della coltivazione dei terreni. Anche dell’acquisto di un terreno, una compravendita passata tra le mani di un avvocato, Gino Bosco, sentito nel relativo procedimento e dove ha raccontato che a dirgli che era una persona perbene era stato lo stesso notaio che aveva fatto quell’atto di vendita, il notaio Di Natale di Trapani. Una circostanza che è adesso venuta fuori con l’ulteriore sequestro contro Mazzara. L’avv. Bosco ha detto che non conosceva le pregresse vicende giudiziarie di Mazzara. E però la cosa ha fatto un po’ di clamore, possibile che davvero nessuno sapesse che Mazzara era un imprenditore a disposizione di Messina Denaro? Bosco è il difensore del senatore D’Alì, negli atti d’accusa contro D’Alì, Mazzara è citato, forse questo avrebbe dovuto ispirare una maggiore prudenza, l’avv. Bosco ha spiegato che la questione l’ha affrontata per quel mandato di vendita di quel terreno che aveva ricevuto e che anzi con Mazzara durante la trattativa non aveva avuto remore ad avere un forte attrito. Insomma nessun “rispetto” di troppo nei confronti di Michele Mazzara. Almeno lui, l’avv. Bosco, poi non si è tirato indietro quando il giudice lo ha citato per avere spiegata quella trattativa. Altri testi in questo come in altri procedimenti hanno preferito fare i finti tonti.
Tutto questo è possibile se la sottile linea di confine tra mafia e legalità da queste parti è sparita, è stata fatta sparire anche per le azioni di autorevoli rappresentanti delle istituzioni, questa linea non si vede più. O meglio alcuni fanno finta di non vederla. Non l’ha vista il notaio che ha stipulato l’atto di vendita di quel terreno a quella società agricola dove Mazzara non figurava e però era lì nel suo studio a consegnare l’assegno al legale che aveva affidata quella trattativa, non l’hanno vista i direttori e i funzionari di banca che per anni hanno trattato con Mazzara e anche con altri imprenditori che ufficialmente non aveva più nulla e però andava in banca a discutere delle condizioni per le sue imprese, come faceva l’imprenditore Vito Tarantolo, anche lui tra i destinatari di un altro sequestro di beni per i suoi rapporti con la mafia, una sottile linea che è sparita anche dentro gli uffici pubblici, come l’Asp di Trapani dove l’onorevole Pino Giammarinaro, a capo di una holding di società impegnate nel comparto sanitario e che per decenni sono andate avanti con le convenzioni con la sanità pubblica, ancora oggi, come avveniva già prima, pare vada all’Asp a chiedere i pagamenti per una serie di società e laboratori dove il suo nome non si incrocia, eppure lui è lì, è stato lì, a discutere di convenzioni e mandati di pagamento. Anche Giammarinaro è stato colpito da un maxi sequestro di beni, e però il suo potere resta come mai intaccato, alle ultime elezioni si è impegnato ed ha fatto eleggere propri rappresentanti anche nel Pd, un suo fidato, il mazarese Vito Torrente, addirittura si è schierato in campagna elettorale per sostenere l’attuale capogruppo all’Ars del Pd, Baldo Gucciardi, salvo poi la rottura tra i due .Ogni tanto c’è chi fa i passi indietro, anche se non sempre “con tante scuse”.
Intanto l’ultima moda che sembra farsi avanti è quella dell’antimafia recitata. Basta mettere alle spalle della propria scrivania una foto di Falcone e Borsellino e qualcuno pensa così di potere ingannare tutti. L’antimafia recitata la conoscevamo già per merito di quel sindaco di Campobello di Mazara, Ciro Caravà, Pd, che organizzava manifestazioni antimafia e teneva nella sua stanza le foto di Falcone e Borsellino, e intanto però si metteva a disposizione dei mafiosi, o ancora per merito dell’ex sindaco di Alcamo Giacomo Scala che presiedeva il consorzio per la legalità ed è finito condannato per azioni tutt’altro che legali, e continuano nello scorrere di questo elenco troviamo il senatore alcamese Nino Papania che aveva come suo factotum l’autista di un boss mafioso, “a sua insaputa”, con l’ex sindaco di Valderice Camillo Iovino rimasto in sella nonostante una condanna per favoreggiamento a un imprenditore mafioso, nonostante tutto è tornato all’ars l’ex presidente della Provincia Mimmo Turano che era solito viaggiare “tutto pagato” con il re dell’eolico Vito Nicastri, destinatario di una confisca da 1 miliardo e mezzo di euro, addirittura nella commissione regionale antimafia siede l’on. Giovanni Lo Sciuto, che anni addietro fu socio dei Messina Denaro. Così per fare alcuni esempi. Lo stupore non serve se non è accompagnato da indignazione. Vera indignazione. Nessuno si è indignato quando il sindaco di Castelvetrano Felice Errante ha voluto dire che Matteo Messina Denaro “non è il primo dei problemi” sebbene Castelvetrano ha avuto l’onore di vedere per una delle sue ultime comparse pubbliche il capo della Polizia Manganelli, diventato qui cittadino onorario e che venne accettando l’invito del questore Carmine Esposito per l’inaugurazione del nuovo commissariato della cittadina belicina.
A Trapani oltre a essere scomparsa la sottile linea di confine tra mafia e legalità, resta introvabile l’indignazione. Qualcuno ogni tanto ci prova a indignarsi, ma il coro di chi grida allo scandalo, contro chi indaga, resta più forte. Trapani sveglla non sei terra di conquista. Questo fu uno slogan politico di tanti anni addietro, alla fine degli anni ‘70. Uno slogan che voleva sollecitare i trapanesi a sottrarsi dalla dipendenza di grandi potentati politici palermitani che qui si andavano insediando. Slogan con finalità politiche (a inventarlo fu l’allora deputato del Pri Nino Montanti) e però con gli anni si scoprirà che quella espansione palermitana avveniva sotto precise regie mafiose e non solo con finalità politiche. Erano infatti quegli gli anni in cui i corleonesi scendevano in massa nel trapanese, mentre venivano inaugurate le logge segrete, mentre la mafia cominciava a trasformarsi e a diventare impresa. Trapani sveglia, Trapani cambia…ci apprestiamo a ricordare la strage di via D’Amelio e non possiamo farlo bene se non ricordiamo quello che una volta scrisse Leonardo Sciascia, e cioè che per garantire l’Italia libera e democratica è in Sicilia che ogni giorno bisogna combattere la battaglia. Via D’Amelio sembra essere stata davvero la conseguenza violenta della trattativa segreta che lo Stato conduceva con la mafia, e non renderemo onore a Borsellino se ci ritroveremo a parlare solo di quella trattativa, tacendo sulla trattativa che ancora oggi purtroppo continua.

Tratto da: malitalia.it

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