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giangiacomo-ciaccio-montalto1di Vito D’Ambrosio - 17 maggio 2013
Uno era un magistrato. L’altro un venditore ambulante. Uno aveva due lauree e l’altro a fatica il diploma di terza media. Tutti e due sono stati assassinati. Il giudice si chiamava Giangiacomo Ciaccio Montalto mentre il commerciante di nome faceva Federico del Prete. Due storie che il Prefetto di Torino, Alberto Di Pace, ha sottolineato “accomunate dalla solitudine”. E quando parla di solitudine indica l’ assenza delle Istituzioni ma anche la disattenzione della collettività.
L’occasione per riportare alla luce due storie dal finale tragico è stata la presentazione di due libri preziosi: ‘Una toga amara’ scritto da Salvatore Mugno e ‘A testa alta’ di Paolo Miggiano. I due libri sono editati da Di Girolamo Editore.

In ‘Toga Amara’ si narra la vicenda dolente del giudice Ciaccio Montalto, magistrato della Procura di Trapani, che venne assassinato nella notte del 25 gennaio 1983. Aveva 41 anni e tre bimbe piccole. Era privo di scorta e di auto blindata. Narra il sito articolo21.org con un pezzo di Rino Giacalone:” La storia di Gian Giacomo Ciaccio Montalto se si vuole è facile da raccontare, basta sfogliare le pagine delle indagini da lui dirette, l’inquinamento del golfo di Cofano, uno dei più belli paesaggi della Sicilia messo a rischio dagli scarichi illegali e anche dal tentativo di costruire qui una raffineria che era sponsorizzata dalle famiglie mafiose locali e al solito da qualche incosciente, e colluso sindaco, i soldi sporchi nelle banche, gli appalti truccati e le speculazioni edilizie, la droga e le raffinerie dell’eroina, i traffici di armi, la regia di tutto questo era di Cosa nostra, ma nel 1983 la mafia a Trapani, ma non solo a Trapani, per i più non esisteva e ci sono voluti 30 anni perché questa storia la si cominciasse a raccontare”. Montalto fu tra i primi ad intuire la centralità di Trapani, procura presso la quale lavorava dal 1971. Sostiene il Prefetto Di Pace: “È il primo a parlare della necessità di una banca dati, di colpire i patrimoni della mafia e che la mafia va studiata a monte dei processi”. Montalto aveva compreso, qurant’anni fa, che la mafia era un problema complesso e andava trattato come tale. Cosa che poi fecero Antonino Caponetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Sono questi i nomi che corrono nel lungo archivio del contrasto legale alla mafia. E altri mancano. C’è una bella intervista che il giudice Rocco Chinnici rilascia al giornale “I Siciliani” nel marzo del 1983, raccolta da Lillo Venezia, dove a proposito dell’omicidio del collega Montalto dice: “Paura e rassegnazione mai. Dalla morte del loro collega i giudici di Trapani hanno tratto motivo umano e morale per continuare, anzi per accanirsi maggiormente nella lotta e proseguire le indagini in tutte le direzioni. La reazione a Trapani è stata la stessa che ha praticamente esaltato i giudici di Palermo dopo le ultime terrificanti imprese della mafia nella capitale. Questo è un messaggio onesto e chiaro e cosciente che posso lanciare alla mafia: Noi giudici siciliani non ci arrenderemo mai. Non avremo mai rassegnazione o paura. Per ognuno che cade ce ne sono altri dieci disposti a proseguire con maggiore impegno, coraggio, determinazione”. Chinnici è il magistrato che a Palermo costruisce il pool antimafia. Cioè un sistema di lavoro investigativo connesso e in rete. Morirà quattro mesi dopo, il 29 luglio 1983, attaccato da una autobomba: una 127 piena di esplosivo. Aveva cinquantotto anni e con lui morì la sua scorta: il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta.
Il secondo libro, ‘A testa alta’ narra di un uomo assassinato 850 chilometri più a nord di Trapani molti anni dopo l’assassinio del giudice. Siamo a Casal di Principe, in provincia di Caserta. È il 18 febbraio 2002 e cinque colpi di pistola stroncano la vita di Federico del Prete. Il giorno dopo sarebbe dovuto andare in tribunale a testimoniare contro un vigile urbano di Modragone accusato di essere un camorrista. Lascia due figli e una lunga ed estenuante lotta contro la camorra. E’ l sindacalista dei ‘mercatari’. Si batte contro il pizzo e contro le forme piccole e grandi di sopraffazione e illegalità presenti nel suo lavoro e sul suo territorio. In un anno ha sporto ottantacinque denuncie.
Ancora il prefetto di Torino ci aiuta a comprendere la figura di questo giovane commerciante e cittadino: “La volontà di Federico del Prete è di rompere la solitudine”. È, come spiega l’autore del libro, Paolo Miggiano, l’idea è di “Far scattare la fiducia tra cittadini ed istituzioni”. A rafforzare questa idea il prefetto di Torino sottolinea che “Non abbiamo bisogno di eroi. Abbiamo bisogno della collettività. Il libro chiama a dignità e resistenza della collettività”.
È interessante l’approccio del prefetto Di Pace: “Sono due storie lontane nel tempo e nello spazio ma vicine. La Sicilia è una terra che apparentemente accetta la mafia. In realtà è una terra che chiede aiuto ed è abitata da tantissimi che lavorano contro la mafia”. La parte che rende vicine le due vicende è la seguente: “Nessuna parte del territorio è indenne. Io ho chiesto lo scioglimento di due Consigli Comunali in Piemonte, Leinì e Rivarolo, per infiltrazioni mafiose. In Piemonte, nel processo Minotauro, sono undici le cellule ndranghetiste scoperte. Anche qui se la collettività non prende coscienza del problema la malavita organizzata si potrà espandere. Bisogna lavorare tutti insieme per contrastare la crescita della criminalità”.
Due libri preziosi che si sono incontrati al Salone del libro di Torino e che hanno rappresentato un pezzo importante della nostra storia che non è ancora il passato. Una storia, quella della criminalità organizzata, con la quale continuiamo a farci i conti. Intanto, Paolo Miggiano, spiega che dopo aver girato in lungo e in largo l’Italia per presentare il suo libro ancora ‘A testa alta’ non è riuscito entrare a Casal di Principe, Fratta Maggiore, Aversa “nei paesi che questa storia hanno subito”. E anche questa è una notizia.

Tratto daarticolotre.com

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