di Pippo Giordano - 8 febbraio 2013
Bene! Habemus calato il sipario sulla verità. Mi chiedo, cos'è la verità alla luce del condono tombale sulla verità medesima? Pregherei eminenti filosofi di farmelo capire, giacché prima della decisione di distruggere le bobine contenenti le ormai famose quattro telefonate di Napolitano e Mancino, avevo in qualche modo le idee chiare. Ora, invece le ho confuse: ma più che confuse ho idee che veleggiano nel magma di una democrazia approssimativa, ove gli interessi di due persone sono prevalsi sui diritti di molti.
Mi si dirà che la Corte Costituzionale ha deciso nell'assoluto principio di salvaguardare la riservatezza del Capo dello Stato. E a tal proposito, poiché in pochi lo rilevano, devo compiacermi con la Procura di Palermo per aver tenuto fede al segreto d'Ufficio. Comportamento encomiabile in un Paese dove di segreto c'è solo quello di Stato, che spesso viene imposto per impedire la conoscenza di verità. Mi si dirà che le sentenze della Cassazione vanno rispettate, e no! Le rispettavo prima. Ma dopo aver appreso con particolare sgomento e dolore che i condannati all'ergastolo per la strage di via D'Amelio, sono risultati innocenti non credo più alle sentenze passate in giudicato. Tuttavia, a mio avviso non dovrebbero mai esistere supposti interessi di garanzia, quando ad una sola persona viene inibito il sacrosanto dovere di conoscere la verità: il principio di far conoscere la verità dovrebbe essere il paradigma di riferimento delle nostre Istituzioni. La Procura di Palermo ci ha fatto sapere, che nelle prefate conversazioni non c'è nulla di penalmente rilevante. Ma ciò non vuol dire che le conversazioni registrate non contengano elementi di primaria importanza per conoscere la verità. Si potrebbe anche supporre che il privato cittadino Mancino, imputato in un processo, abbia esercitato inopinatamente il suo potere, al fine di trarre un esclusivo vantaggio personale, in danno, appunto, della verità che attiene alla collettività. Ed io, lo dico con estrema chiarezza, Mancino non avrebbe dovuto trovare ascolto in chi è deputato ad essere il garante di tutti noi. Nel caso di specie, invero, ha garantito solo l'imputato Mancino. Eppoi, appare risibile che il Garante delle Costituzione accetti, come dicevo prima, di interloquire.
Il sospetto che nelle quattro telefonate si sia fatto riferimento al processo initinere a Palermo, quello sulla trattativa Stato- Mafia, scaturisce dalle pregresse telefonate intercorse tra Mancino e Loris D'Ambrosio, magistrato-consigliere del Quirinale. Ecco, dal tenore delle telefonate si evincono chiari riferimenti al processo sulla trattativa e quindi è ipotizzabile che il medesimo tenore sia intercorso col Quirinale. Da parte mia, proprio a metà dicembre in piazza Farnese a Roma, invitavo dal palco della manifestazione, il presidente della Repubblica a rendere noto il contenuto delle telefonate. E nell'occorso ho urlato, dopo reiterati inviti scritti, dicendo che essendo vicino a Quirinale finalmente il Capo dello Stato avrebbe potuto ascoltarmi. Evidentemente il nostro caro Presidente forse affetto da ipoacusia non mi ha sentito, oppure, che il valente servizio d'Intelligence non ha annotato la mia supplica. Adesso, è stato deciso dal Gup di Palermo la distruzione delle bobine: la decisione metterà una pietra tombale sulla verità. Rimane da dire che nel nostro Paese ci sono persone più garantite di altre, con l'assordante silenzio della professione forense. In altri momenti, l'advocatus avrebbe urlato insieme a me.
Pippo Giordano
Tratto da: 19luglio1992.com