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progetto-legalita-web“Esiste”: la conoscono bene i Giudici Bellomo, Nobili e Mapelli
Di Vivianne Pellacani - 18 ottobre 2012
Oggiono (LC). Si è tenuto ieri sera, al pala Bachelet di Oggiono (LC), l’ultimo appuntamento del “Progetto legalità: incontri su mafie e legalità in Brianza”, un ciclo di quattro conferenze, coronate da una partita di calcio di Solidarietà, organizzate dal comune di Olgiate Molgora e dalla Nazionale Italiana Magistrati, in collaborazione con la città di Merate, il comune di Casatenovo e il Consorzio Villa Greppi.

L’obiettivo è stato quello di sensibilizzare i cittadini in ordine ad una realtà attuale, molto delicata, che coinvolge tutti noi da molto vicino, pur venendo spesso negata: la presenza mafiosa all’interno della Brianza. Un fenomeno che oggi non sarebbe più circoscritto solo alle regioni meridionali, ma diffuso anche al nord, mettendo radici ormai ovunque: dal settore edilizia a quello immobiliare, fino ad intrecciarsi con la politica.
Ce ne hanno parlato tre uomini ormai da decenni al servizio della legalità: il procuratore aggiunto di Milano, Alberto Nobili e i sostituti procuratori della Repubblica di Monza, Salvatore Bellomo e Walter Mapelli. Professionisti che hanno visto da vicino le prepotenze della mafia, partecipando ad inchieste, come quella su Tangentopoli e sul Sistema Sesto e contribuendo ad arrestare – in diversi comuni della Brianza e del Milanese – numerosi esponenti della ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale di stampo mafioso più pericolosa in Italia.
Dopo i saluti e i ringraziamenti ad opera di Roberto Romagnano, assessore all’edilizia di Olgiate Molgora e di Piero Calabrò, Giudice del Tribunale di Monza, ha subito preso la parola l’ospite più “anziano”, il procuratore aggiunto di Milano Alberto Nobili, in passato al servizio della Direzione Distrettuale Antimafia, organo destinato per legge ad occuparsi di reati di stampo mafioso.  
Il magistrato, con più di trent’anni di carriera alle spalle, ha partecipato alle principali inchieste degli anni Novanta, le quali hanno portato all’arresto di più di 2500 mafiosi in tutto il territorio Lombardo. Scampato nel 1994 ad un attentato della ‘ndrangheta (che avrebbe dovuto colpire il giudice in Piazza Cinque Giornate a Milano, per impedirgli di perseguire più di 120 imputati), il procuratore Alberto Nobili ha proseguito a testa alta la sua carriera, indagando sulle infiltrazioni dell’organizzazione calabrese all’Expo 2015.
Ricordando i più recenti scandali politici – l’acquisto di voti da parte di politici dall’ndrangheta, in Lombardia –  il magistrato ha sottolineato che “la mafia è qui”, ma per lungo tempo questo fatto è stato negato, arrivando a coniare il termine ‘anonima calabrese’ per indicarlo. E sarebbe cambiato tantissimo, secondo il procuratore, se “già vent’anni fa si fosse sviluppata una coscienza collettiva, una sorta di responsabilità sociale, la consapevolezza che il primo passo per affrontare questo fenomeno era conoscerlo”.
Ha proseguito il tema del rispetto delle leggi e della necessità di una coscienza sociale, Salvatore Bellomo, sostituto procuratore della Repubblica di Monza, che ha partecipato alle inchieste Sunrise, Sesto Pulita e Infinto, contribuendo attivamente a contrastare la diffusione della ‘ndrangheta in Brianza. Nel 2011 ha ricevuto il premio Rotary Monza Est alla professionalità.
Secondo il magistrato, “il fenomeno mafia non si può risolvere solo con l’azione repressiva della magistratura e delle forze dell’ordine. Esso richiede lo sviluppo di una coscienza civile collettiva e l’impegno di tutti coloro che svolgono attività istituzionali”. Accanto ai corrotti, infatti, esistono anche uomini c.d. ‘trasversali’, uomini che ogni giorno si alzano e vanno al lavoro, nonostante le difficoltà e i sacrifici che tale impegno può comportare.
Il magistrato ha voluto poi fornire una conoscenza basilare del fenomeno mafia, spiegando con semplicità al pubblico alcune differenze tra ‘ndrangheta e Cosa Nostra e sottolineando la maggiore pericolosità della prima, parimenti gerarchica e feroce, ma più difficile da permeare, perché basata su vincoli familiari (pochissimi, infatti, i c.d. “collaboratori di giustizia” che, pentiti, decidono di aiutare le forze dell’ordine).
Da qui la necessità di una società cosciente, unita e fiduciosa nelle istituzioni. “Non si può vivere a capo chino – ribadisce con veemenza il magistrato siciliano – La paura? Ce l’abbiamo tutti, ma non dobbiamo pensare che quello che non ci interessa direttamente, non ci riguarda affatto. Come ha detto Giovanni Falcone, la mafia è un fatto umano e come tale avrà un inizio e una fine, ma il tempo necessario a raggiungere la sua fine è direttamente proporzionale al grado di coscienza civile che le istituzioni riusciranno a sviluppare”.
Ha concluso la conferenza il magistrato della Procura di Monza Walter Mapelli, protagonista delle inchieste più delicate di questi ultimi anni (Imi-Sir, Penati e Sea-Serravalle). Con il giornalista del “Corriere della Sera”, Gianni Santucci, ha scritto il libro ‘La democrazia dei corrotti’, denunciando la degenerazione della democrazia, devastata dal male corruzione, oggi sempre più capillare.
Secondo il magistrato, in questi anni, la mafia ha compiuto un grande salto educativo, generazionale e occupazionale. Se i meccanismi di pensiero delle cosche rimangono sempre gli stessi, le tecniche di mimetizzazione si sono invece raffinate, insieme all’evoluzione della società.
La stessa posizione occupata dalle associazioni mafiose è sempre più alta e difficile da contrastare. “Se prima ‘Il padrino’ si limitava a condizionare dall’esterno l’attività dell’istituzione – spiega il sostituto procuratore – adesso cerca di infiltrasi per poterla controllare dall’interno”. Il grande business della mafia, infatti, non è solo ed esclusivamente il denaro, bensì il controllo del territorio e soprattutto dell’economia legale: per questo la mafia italiana è più pericolosa di quella straniera.
L’incontro si è concluso con un invito ad essere ottimisti e uniti. La stessa crisi economica ha fatto emergere segnali di indebolimento di questa “economia illegale”. E questo fa pensare che, insieme ad un uso più efficace delle misure di prevenzione da parte delle forze dell’ordine, esista davvero una speranza a che il fenomeno mafioso si possa un giorno annientare.

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