borsellino-paolo-web2di Miriam Cuccu - 21 luglio 2012
L’opinione pubblica dovrebbe basare le proprie idee sui valori di verità e giustizia. Dovrebbe guardare all’informazione con coscienza critica. Dovrebbe considerare lo Stato un organo preposto a garantire i diritti sanciti dalla Costituzione. Dovrebbe vederne i rappresentanti come coloro che agiscono nell’interesse della società e ne danno il massimo esempio in termini di onestà e trasparenza. E, nel caso in cui tutto questo non esistesse, dovrebbe esigerlo, chiederlo a gran voce, smuovere le coscienze per fare sì che le cose cambino. Perché lo Stato siamo noi.

A Palermo la parte migliore dell’opinione pubblica l’ha fatto. È scesa in via d’Amelio, luogo in cui ha trovato la morte uno dei massimi esempi morali del nostro Paese. Ha gridato, chiedendo verità e giustizia per quella morte. Ha pianto insieme a coloro che ne hanno reso l’ennesimo omaggio. Ha applaudito alle parole dei magistrati e si è fatta scudo per proteggerli. Da chi? Non certo, o non solo dalla mafia, ma da quello stesso Stato che dovrebbe garantire loro l’incolumità e le condizioni ottimali per svolgere un lavoro che è prima di tutto missione e ragione di vita.
Palermo in questo 19 luglio appena trascorso ha messo da parte la sua omertà e indifferenza per scendere in strada e dichiarare che Falcone e Borsellino non sono morti invano. Il resto dell’Italia l’ha accompagnata in una giornata nella quale il barlume di speranza indispensabile per continuare a cercare il bandolo della matassa di questa storia di morte ha trovato nuova forza. Tre, forse quattromila persone davanti a un palco sul quale ognuno, a suo modo, ha dato il proprio contributo per dimostrare che quel movimento culturale e morale auspicato da Borsellino esiste, e sta acquistando sempre più forza. Dal grido inarrestabile di Salvatore alle note finali regalateci da Daniele Silvestri, passando per le testimonianze dei magistrati e le toccanti parole dei familiari di Emanuela Loi, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Claudio Traina. Guardandomi attorno vedo due ragazze che si tengono abbracciate e piangono, altri che gridano “Non siete soli!” a Scarpinato, Ingroia, e Di Matteo nel corso dei loro interventi, in un turbine di striscioni e agende rosse alzate al cielo e applausi scroscianti di una folla che arriva fino in fondo alla via.
Rabbia, indignazione, costernazione, sgomento, coraggio, amore invadono ognuno dei presenti, mentre si fa strada un pensiero. Chiunque, anche un uomo e magistrato giusto come Borsellino si sente inevitabilmente solo nel combattere una battaglia circondato esclusivamente dal silenzio e dall’isolamento. Ma se sorretto da centinaia, migliaia di persone animate dallo stesso fuoco ecco che qualcosa cambia, ecco che quella battaglia non può più essere ignorata, ma anzi acquisisce sempre più forza e importanza perché personificata da quello che dovrebbe divenire l’impegno di un intero Paese onesto.
Ora altri magistrati rischiano la vita per il futuro di uno Stato che invece si rifiuta di cambiare e di abbandonare quel sistema di potere che non fa altro che ingrassare chi siede sulla poltrona consumando i resti del Paese fino all’osso. Mai più dovremo fare lo stesso errore, mai più dovremo lasciarli soli a combattere una battaglia che è prima di tutto la nostra. Questa giornata ha dimostrato che l’unione sotto questo obiettivo è possibile, che una parte della società ha preso coscienza del suo ruolo e della sua importanza, ed è decisa ad esercitarlo fino in fondo. Per poter assaporare quel fresco profumo di libertà e per Paolo, al quale noi faremo giustizia.

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