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22 mesi sotto scorta, di fronte alla mafia: l’esperienza di Francesca Vitale

Oggi ci ha lasciato Francesca Vitale, donna straordinaria e mia cugina, che ha contribuito in maniera significativa alla storia della giustizia italiana. Fu una delle giurate popolari che accettarono di partecipare al Maxiprocesso di Palermo (1986‑1987), un impegno che molti rifiutarono per paura.
La sua scelta fu dettata da un profondo senso di responsabilità civica e morale.
Recentemente, RaiPlay ha riproposto la docufiction del 2020 "Io, una giudice popolare al Maxiprocesso", diretta da Francesco Miccichè, con Donatella Finocchiaro nel ruolo di Francesca Vitale e Nino Frassica: un racconto che porta sullo schermo emozioni, sfide e coraggio di chi visse quegli anni segnati dalla lotta a Cosa Nostra.


La chiamata: un sì coraggioso

Francesca raccontava che quando fu chiamata a essere giurata popolare, non ebbe alcun dubbio. Molti altri rifiutarono l’incarico, timorosi delle conseguenze: alcuni presentarono certificati medici per sottrarsi alla responsabilità di giudicare i mafiosi. Francesca, insieme a Teresa Cerviglia e Maddalena Serratore, invece disse di sì, consapevole del rischio ma convinta della necessità di assumersi quella responsabilità. Non aveva alcuna intenzione di rifiutare, perché sapeva che era giusto accettare.


22 mesi sotto scorta: tra dovere e normalità

L’impegno di Francesca durò 22 mesi, tutti i giorni, con la protezione della scorta che l’accompagnava costantemente, anche in eventi familiari come il matrimonio della figlia. Nonostante la presenza costante di uomini armati e il rischio di attentati, Francesca cercò sempre di vivere ogni momento con serenità e rispetto della vita familiare. «Paura no, ma senso di responsabilità sì», sottolineava, rivelando come la forza del dovere abbia sempre prevalso sulle emozioni. Anche di fronte all’incendio appiccato dai mafiosi, che distrusse completamente l’atelier di pittura di famiglia.


La crudeltà della mafia

Tra i ricordi più toccanti, Francesca narrava l’esperienza di un giovane killer mafioso di appena vent’anni: «Attendeva ogni mattina di essere chiamato, per lui significava fiducia. Ma quella chiamata significava uccidere o sciogliere nell’acido».
L’immagine di quel ragazzo e del gesto di consegnare un anello recuperato tra i resti delle vittime alla madre restò sempre indelebile nella memoria di Francesca.

 

Falcone e Borsellino: un’eredità di coraggio

Francesca ricordava con emozione Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due figure centrali del Maxiprocesso. Il loro impegno e il sacrificio personale rappresentarono non solo un momento storico per la Sicilia, ma un modello di integrità e coraggio per tutta l’Italia e il mondo.
La morte dei due magistrati segnò profondamente mia cugina, rendendo ancora più evidente l’importanza della sua scelta di testimoniare. Li definiva «persone di grande spessore che hanno dato tutto quello che potevano dare».
La loro eredità rappresenta un riscatto non solo per la Sicilia, ma per tutta l’Italia e per il genere umano. 

La docufiction: memoria e racconto

La Rai, attraverso la docufiction di Francesco Miccichè, ha restituito sullo schermo il Maxiprocesso, combinando immagini di repertorio e ricostruzione narrativa.
Donatella Finocchiaro ha interpretato un personaggio ispirato a Francesca Vitale e alle altre donne giurate popolari, evidenziando non solo il coraggio ma anche le paure e le emozioni di chi si trovò di fronte alla mafia.
La docufiction ricorda quanto sia importante mantenere viva la memoria storica e il coraggio civile.


Un esempio che resta

Francesca Vitale ci lascia oggi, ma la sua storia e il suo esempio rimangono vivi. La sua vita insegna che, di fronte alla violenza e all’ingiustizia, la scelta di stare dalla parte giusta è un dovere civico e morale.
La sua testimonianza ci invita a non rassegnarci mai e a parlare sempre della lotta alla mafia e della violenza, affinché l’impegno di chi ha rischiato la vita per la giustizia non venga dimenticato.

Il programma completo si può vedere su RaiPlay 

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