Lunedì 10 marzo il Coordinamento Lavoro Porfido ha tenuto a Trento una conferenza stampa per richiamare l’attenzione sull’imminente avvio del secondo troncone del processo “Perfido”. Per pura coincidenza, nella piazzetta a lui intitolata, si commemorava la figura di Mario Pasi, medico e partigiano, ucciso dai nazifascisti a Belluno il 10 marzo del 1945. Le sue scelte “fustigano la dilagante indifferenza”, queste le parole pronunciate dal presidente dell’ANPI Mario Cossali in tale occasione, parole che non posso fare a meno di richiamare a proposito della vicenda che sto per raccontare. Premetto che dopo la conferma nel processo di Appello delle condanne per associazione mafiosa e sfruttamento dei lavoratori per 8 imputati a giudizio nel primo troncone, avvenuta lo scorso 24 febbraio, sta diventando sempre più difficile negare la gravità di quanto avvenuto negli ultimi tre decenni tra le cave di porfido del Trentino. A ciò si aggiunga che per 3 imputati erano state in precedenza confermate le condanne in via definitiva per associazione a delinquere di stampo mafioso in due procedimenti con rito abbreviato e un patteggiamento concesso ad altri due imputati è stato annullato per ben due volte, la seconda senza rinvio, dalla Corte di Cassazione. Questo il quadro dei procedimenti nati dall’indagine dei Carabinieri del ROS condotta in Trentino, a partire dalla zona del porfido, denominata “Perfido”, conclusasi con l’esecuzione il 15 ottobre del 2020 dell’Ordinanza di Custodia Cautelare emessa dal Gip nei confronti di 18 persone. Indagine che ha squarciato il velo dietro al quale si sono nascoste operazioni finanziarie che hanno cementato soggetti legati a consorterie criminali ed esponenti della locale lobby industriale, il cui effetto più devastante si era manifestato sulle condizioni di lavoro degli operai occupati nelle cave. Il prossimo 14 marzo compariranno davanti al Gip una serie di persone coinvolte nelle indagini appartenenti alle Forze dell’Ordine e alla sfera politico-amministrativa, in particolare tre Carabinieri della Stazione di Albiano accusati di gravi reati in relazione al ruolo assunto nella vicenda del sequestro e pestaggio di un operaio cinese in una ditta artigiana del porfido (i tre esecutori materiali sono già stati condannati in via definitiva nel 2019 grazie all’impegno del compianto avv. Giampiero Mattei), due ex sindaci (Frassilongo in valle dei Mocheni e Lona-Lases in valle di Cembra) e un ex senatore (che ha recentemente avanzato la sua candidatura a sindaco di Arco) per voto di scambio politico-mafioso. Il Coordinamento Lavoro Porfido ha manifestato davanti al Tribunale durante il processo d’appello relativo al primo troncone per sottolineare le gravi responsabilità delle OO.SS (Fillea-Cgil e Filca-Cisl), costituitesi parte civile, nel degrado delle condizioni di lavoro all’interno delle cave di porfido della valle di Cembra. Sindacati che con faciloneria hanno sottoscritto accordi di conciliazione sollecitati dalle ditte concessionarie, non dai lavoratori, al fine di evitare provvedimenti sanzionatori da parte dei Comuni (proprietari delle cave) dovuti al mancato rispetto degli obblighi contrattuali. Accordi che sono stati usati dalle difese degli imputati per derubricare l’accusa originaria di “riduzione in schiavitù” a “sfruttamento dei lavoratori” e per questo i rappresentanti del C.L.P. erano fuori dal Tribunale con un cartello che interrogava: “I Sindacati hanno assistito i lavoratori sfruttati o soccorso le aziende sfruttatrici?”. Nell’approssimarsi dell’avvio del processo agli imputati del secondo troncone, pur se privato di due figure importanti quali il “faccendiere” Giulio Carini e il generale dell’Esercito Dario Buffa, le cui posizioni sono state stralciate in modo assai discutibile (vedasi in proposito le interrogazioni parlamentari presentate dall’on. Stefania Ascari), il C.L.P. ha cercato di stimolare in vari modi le istituzioni locali, provinciali e nazionali affinché si costituiscano parte civile nel processo. In due iniziative pubbliche, il 14 febbraio ad Albiano e il 28 a Lona, (con la partecipazione del direttore del mensile QT Ettore Paris, dell’ex consigliere provinciale del M5stelle Alex Marini e in via straordinaria dell’avv. Sara Donini, che assiste i tre operai cinesi costituitisi parte civile nel primo troncone del processo) ha fornito informazioni e stimolato i comuni di Albiano e Lona-Lases a costituirsi parte civile. Richiesta analoga è stata rivolta mediante un documento scritto al Commissariato del Governo per la Provincia di Trento, affinché si faccia tramite per chiedere al Governo la costituzione di parte civile dei ministeri degli Interni e della Difesa. Inoltre, mediante una mozione presentata dal consigliere provinciale Filippo Degasperi (Onda Civica), anche la Provincia è stata stimolata a costituirsi parte civile, così come già nel primo troncone. Ad oggi solamente il Comune di Lona-Lases, con delibera di Giunta del 7 marzo, ha dato mandato all’Avvocatura dello Stato di provvedere alla costituzione di parte civile nel secondo troncone, questo nonostante i suoi rappresentanti (già amministratori comunali con alcuni degli imputati) abbiano attaccato frontalmente il C.L.P., accusandolo di essere la causa delle difficoltà del Comune (con Albiano indicato dai CC del ROS quale sede di un “locale” di ‘ndrangheta). Per quanto riguarda invece Albiano, nella cui Stazione CC sono stati compiuti alcuni dei gravi reati contestati ai militari in servizio presso la stessa all’epoca dei fatti, si è quindi provveduto a raccogliere le firme dei cittadini su una petizione con la quale si chiedeva al Consiglio comunale, in data 24 febbraio, di iscrivere all’odg e discutere la proposta di costituzione di parte civile. Prevedendo lo Statuto comunale che una petizione sottoscritta da almeno 30 cittadini, inviata al Sindaco, debba essere iscritta all’odg del Consiglio comunale (art. 7, co. 2 e 4) ci si aspettava che essendo stato il documento sottoscritto da 34 cittadini iscritti nelle liste elettorali del comune, il Consiglio comunale fosse chiamato ad esprimersi in merito. Così purtroppo non è stato, infatti, il Sindaco Martino Lona ha diffuso lo scorso 6 marzo una nota (inviata al C.L.P. e alla stampa) nella quale afferma: “Visto che n. 10 Consiglieri comunali del Consiglio comunale di Albiano, hanno discusso e valutato la richiesta sopra riportata e hanno deciso di non costituirsi in giudizio….”. Ora, al di là delle motivazioni di seguito elencate (il nome di Albiano compare solo perché di fatto la Stazione dei Carabinieri ha sede ad Albiano e questo non viene ritenuto sufficiente a determinare un danno d’immagine per la comunità), il fatto grave consiste nel fatto che nonostante si faccia riferimento ai Consiglieri del Consiglio comunale, in realtà nessuna decisione è stata presa in questa veste e in tale sede istituzionale. Ero presente alla seduta del Consiglio comunale di Albiano del 6 marzo e la seduta è stata dichiarata conclusa dopo l’approvazione degli unici due punti all’odg, che non contemplava alcun punto relativo alla questione posta dalla petizione sottoscritta dai 34 cittadini di cui sopra. Quindi la decisione comunicata al C.L.P. e alla stampa dal Sindaco è stata assunta al di fuori della sede istituzionale preposta e pertanto in modo completamente illegittimo. Un atteggiamento grave che dimostra, ancora una volta, quali condizionamenti continui ad esercitare l’intreccio di interessi che si è determinato in questi ultimi tre decenni tra le cave di porfido (non va dimenticato che una delle ditte facenti capo ai condannati, sia pure in via non ancora definitiva, per associazione mafiosa, era concessionaria di cava nel comune di Albiano). Ancor più grave considerando che esso ha significato la negazione del diritto dei cittadini alla partecipazione alla vita democratica del proprio Comune! Un comportamento vergognoso che, anziché fustigarla, fa dilagare l’indifferenza negando la partecipazione e di conseguenza riducendo alla totale impotenza i cittadini. Un affronto alla memoria di Mario Pasi, brutalmente ucciso il 10 marzo del 1945, una data, quel 10 marzo, che lo lega ad un altro italiano esemplare e ci porta all’altro capo del Paese, in Sicilia, dove il 10 marzo del 1948 venne ucciso dalla mafia il partigiano e sindacalista (originario di Corleone) Placido Rizzotto. Basta contrapporre l’esempio di quest’ultimo a quello dei sindacalisti sopra menzionati per rendersi conto del livello di scadimento al quale siamo oggi giunti. Il comportamento degli amministratori comunali di Albiano, infine, va considerato come un tradimento esplicito dei valori e dei principi sanciti dalla Costituzione democratica e antifascista e con ciò richiederebbe una ferma critica da parte della cittadinanza ma anche una ferma condanna da parte dell’intera società civile, non solo trentina, delle sue associazioni e delle istituzioni ancora rispettose del dettato costituzionale.

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