Un giorno si racconterà ai bambini, radunati attorno al focolare in una fredda e umida serata d’autunno, di un uomo ferito gravemente e con la mano destra mozzata, che scaglia un pezzo di legno contro il drone di un esercito di massacratori che lo sta riprendendo. Quel gesto, ultimo e disperato, del figlio di un muratore e muratore a sua volta, se le circostanze non lo avessero trasformato in un terrorista (per qualcuno) o in un combattente (per altri): nessuno può scegliere il luogo e le circostanze in cui nasce. Quel gesto coraggioso verrà ricordato e indicato ad esempio della dignità di chi un tempo ha tentato di resistere, come poteva, al tentativo di cancellare un intero popolo. Tentativo paradossalmente condotto da coloro che si dichiaravano eredi di altri sopravvissuti alla cancellazione, non però degni di essere considerati tali. Allora i “padroni del mondo” plaudirono all’unisono al coraggioso gesto compiuto dai manovratori di droni, seminatori di bombe e di morte, mostrando con cinico orgoglio le foto di quel corpo martoriato quale simbolo della loro vittoria. Codardi che plaudono all’azione condotta da uomini privati della loro umanità e trasformati in appendici di micidiali congegni di morte e distruzione, trasformati in sicari le cui mani non necessitano più lo sporcarsi di sangue; quel sangue capace di interrogare a fondo la coscienza umana. Fino al giorno prima, questi codardi in giacca e cravatta, macchiate di sangue innocente, sostenevano che il figlio del muratore cacciato nel 1948 da Majdal fosse nascosto al sicuro in un confortevole bunker, protetto da ostaggi usati come scudi umani. Invece, il figlio del campo profughi di Khan Younis era tra le macerie di Gaza, in un sobborgo di Rafah, in prima linea a combattere e resistere con coraggio e dignità. Con disprezzo, attorno a quel fuoco si parlerà di un capo di governo sprezzante nei confronti delle sue vittime e di come l’Occidente e i suoi paladini abbiano trascinato l’umanità nel baratro della disumanità, ponendo così fine a quella ormai lontana “civiltà”.
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