Egr. direttore Giorgio Bongiovanni,
in questi giorni i giornali veneti hanno riportato la notizia dello tsunami lagunare: accuse di corruzione, riciclaggio, false fatturazioni che hanno coinvolto 18 persone tra funzionari pubblici, amministratori ed imprenditori. Indagato il Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro con l’accusa di concorso in corruzione, arrestato l’assessore Renato Boraso in quanto sembrerebbe, da quanto riportano dai giornali, che garantisse modifiche compiacenti al piano urbanistico ai privati in cambio di tangenti.
Il Veneto sta collezionando da diversi anni scandali corruttivi.
Esattamente 10 anni fa vennero disposti 35 arresti e un centinaio di persone vennero indagate per corruzione e tangenti legate al cantiere Mose.
Nel 2019 ci fu la triste vicenda del “clan dei Casalesi di Eraclea” e Luciano Donadio, il presunto boss Casalese, venne accusato, con altre decine di imputati, amministratori locali compresi, di aver agito per oltre vent’anni in Veneto, condizionando la vita economica e politica della zona est, occupandosi di estorsioni, controllo dei cantieri, rapine, false fatturazioni. Ricordo che rabbrividii alla dichiarazione del Governatore del Veneto Luca Zaia il quale disse di non averne mai sentito parlare prima degli arresti del 2019. Parliamo di un processo con ben 120 udienze! Come se non bastasse anche l’ex ministra Luciana Lamorgese, convocata anche lei come testimone, disse di non ricordare segnalazioni di camorra in territorio veneto. La stessa ex ministra negò lo scioglimento per mafia del comune di Eraclea, nonostante fosse stata sollecitata dal prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto.
A Verona un paio di anni fa la Fondazione Arena venne coinvolta nella vicenda 'Ndrangheta con appalti truccati e false fatturazioni coinvolgendo anche l’ex sindaco Flavio Tosi.
Solo per citarne alcuni.
Mi chiedo Direttore, ora che il reato di abuso d’ufficio è stato cancellato dall’ultima riforma della giustizia, che ne sarà della tutela dei diritti dei cittadini, quando proprio coloro che dovrebbero essere garanzia di imparzialità, sono i primi a macchiarsi di corruzione?
Questa è la domanda che venerdì 19 luglio mi porterò in Via D’Amelio a Palermo. Scenderò ad onorare il giudice Paolo Borsellino che ha sacrificato la propria vita pur di non scendere a pericolosi accomodamenti e parteciperò ai numerosi eventi organizzati per commemorare la strage:
scendo insieme a numerosi cittadini veneti preoccupati del fatto che ultimamente la giustizia viene sempre più compromessa da riforme assolutamente discutibili che danneggiano i cittadini e avvantaggiano i corrotti, siano essi in Parlamento o ai vertici delle macchine comunali.
Scendo perché temo si voglia mettere sotto controllo la magistratura, la libera stampa, chiudendo tutte le voci di dissenso. E il progetto di lungo periodo sembrerebbe quello di risolvere il problema una volta per tutte, togliendo di mezzo la Costituzione, scomoda perché l’unica capace di limitare lo strapotere della politica.
Scendo perché mi chiedo quanto saremo garantiti, noi cittadini, se la giustizia in divenire è quella del pugno di ferro per i delitti della gente comune e servile per i reati dei colletti bianchi.
Scendo perché voglio capire chi c’è dietro tutto questo. E chi sono quelle menti che da decenni ordiscono riforme demenziali spacciate per cambiamenti migliorativi.
Scendo anche per esprimere il mio sdegno contro un sistema di depistaggio che copre i veri mandanti delle stragi la cui verità, dopo 32 anni, è ancora celata.
Scendo a Palermo e abbracciando l’olivo di Via D’Amelio mi chiederò in che modo queste assurde riforme della giustizia sono collegate a quella comoda narrazione che fa intendere che la responsabilità delle stragi è imputabile solo alla mafia, nascondendo che anche parte dello Stato ha avuto buon gioco nell’organizzazione.
Foto © Paolo Bassani
Lo tsunami in laguna, la speranza in via D'Amelio
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