Omicidio Scaglione, un mistero lungo 47 anni
47 anni di giallo sull’omicidio del Procuratore capo Pietro Scaglione (assassinato il 5 maggio del 1971 insieme all’agente Antonio Lorusso). Quale fu il movente? Fu un delitto politico-mafioso? Un omicidio di Stato? Un attentato eversivo nell’ambito della Strategia della tensione?
Sin dagli anni Settanta, il confidente Benedetto La Cara dichiarò che il giornalista Mauro De Mauro (scomparso nel 1970) e il procuratore Pietro Scaglione furono vittime di un complotto ordito da alcuni esponenti “democristiani, monarchici e missini” in combutta con apparati deviati dello Stato, coinvolti nel Golpe Borghese (che secondo La Cara, Calderone e altri pentiti era stato smascherato proprio da De Mauro e Scaglione).
Il vicequestore Peri collegò il delitto Scaglione alla strage di Montagna Longa del 5 maggio 1972, all’omicidio del giudice Occorsio (ucciso dai terroristi neofascisti nel 1976) e alla Strategia della tensione.
Lo storico Francesco Renda (noto esponente del Partito Comunista Italiano e della Cgil), invece, parlò di “terrorismo politico-mafioso” contro la magistratura e la stampa, simile agli attacchi contro il sindacato negli anni Quaranta e Cinquanta.
L’unica certezza - anche in sede giurisdizionale penale - è che Scaglione fu “magistrato integerrimo, dotato di eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà morale”.
Entrato in magistratura nel 1928, Pietro Scaglione mantenne la sua piena indipendenza dal regime fascista. Nella sua lunga carriera di giudice e pubblico ministero, le battaglie in difesa dell’autonomia dei magistrati dal potere esecutivo si alternarono con l’impegno per la verità sui misteri siciliani.
In relazione alla strage di Portella della Ginestra di 70 anni fa, il Pubblico ministero Pietro Scaglione, nel 1953, definì l’uccisione dei contadini come un “delitto infame, ripugnante e abominevole”, intuì la natura anticomunista dell’eccidio e accreditò come principali moventi: la “difesa del latifondo e dei latifondisti”; la lotta “ad oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che allontanavano i banditi dalle campagne.
Nella requisitoria del 1956 sull’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale, il PM Scaglione esaltò la figura della vittima e le lotte contadine, parlò di “febbre della terra” e scrisse che l’attività di Carnevale era temuta da coloro che avevano interesse al mantenimento del sistema latifondista.
Il Procuratore Scaglione promosse anche numerose inchieste a carico di politici, di amministratori e di colletti bianchi, come risulta dagli atti giudiziari, dalle sentenze e dalla testimonianza del giornalista Mario Francese (ucciso nel 1979). Come scrisse Francese, infatti, “Pietro Scaglione fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la linea Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”. Il riacutizzarsi del fenomeno mafioso, negli anni 1969-1971, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ……hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica” (Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
Deponendo negli anni Sessanta davanti alla Commissione parlamentare Antimafia, il procuratore Pietro Scaglione ricondusse la mafia alle strutture economiche dell’epoca e invocò “un’attività sociale sempre più vasta e rivolta, tra l’altro, ad eliminare o riformare strutture economiche che hanno favorito il sorgere e l’affermarsi di forme delinquenziali collegate al fenomeno della mafia, una mastodontica e tenebrosa organizzazione delinquenziale, viva ed operante come gigantesca piovra, che stende ovunque i suoi micidiali tentacoli e tutto travolge per soddisfare la sua sete insaziabile di denaro e predominio”.
Il Procuratore Scaglione svolse altresì, con impegno e dedizione, la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della Giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.
Infine, con Decreto del Ministero della Giustizia, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.
Il Procuratore Scaglione sarà ricordato, sabato 5 maggio alle ore 9.30, nell’Aula Magna della Società Siciliana per la Storia Patria, in Piazza San Domenico 1, a Palermo, con il convegno “Mafia e Antimafia negli Anni Sessanta e Settanta” (evento formativo dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia). Il dibattito sarà introdotto dagli indirizzi di saluto di Giovanni Puglisi (Presidente della Società Siciliana per la Storia Patria), di Giulio Francese (Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia) e di Antonio Scaglione (figlio del Procuratore e Vicepresidente del Consiglio della Magistratura Militare). I relatori saranno: Alberto Polizzi (avvocato e vicepresidente del “Centro Studi Cesare Terranova”). Giuseppe Carlo Marino (storico e scrittore), Franco Nicastro (consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti).
Mafia e Antimafia negli anni sessanta e settanta - Palermo, 5 Maggio
- Dettagli
- AMDuemila-2