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trump clinton frec REUTERS ammar awaddi Giulietto Chiesa
Il funerale del mainstream occidentale è stato celebrato ufficialmente ieri con la vittoria campale di Donald Trump. Infatti tutti i commentarori delle grandi catene televisive dell’Occidente (e, di conseguenza, quelli che hanno invaso le reti tv italiane) erano in lutto profondo.

Per settimane, mesi, ci hanno venduto la signora Clinton come futura, inevitabile vincitrice. Tutti i sondaggi l'hanno data sistematicamente in testa. I duelli televisivi con Donald erano tutti vittoriosi per lei. La demonizzazione di Trump è proseguita, su scala nazionale e internazionale, rilanciata obbedientemente da tutto il mainstream. E, per aumentare la dose, tutte le catene televisive dell'Occidente hanno pappagallescamente ripetuto (ovviamente senza curarsi di effettuare alcun controllo sulle fonti) che la Russia, Putin in persona, era all'origine della pubblicazione delle mail compromettenti che riguardavano la candidata democratica. In tal modo si prendevano due piccioni con una fava: si qualificava Trump con un traditore della nazione americana (combutta con il nemico) e si accusava la Russia di interferenza negli affari interni degli Stati Uniti.

Incurante del ridicolo, il vice-presidente in carica degli Stati Uniti andava in tv a farsi intervistare da una importante catena americana, per dire al mondo che la Russia sarebbe stata avvertita duramente per eventuali rappresaglie poiché - testuale - "la gente non si rende come di come si possano modificare sostanzialmente i risultati elettorali". In tal modo proclamando urbi et orbi che la sua America era diventata improvvisamente una repubblica delle banane.

Dichiarazione tanto comica quanto rivelatrice: con ogni probabilità l'Amministrazione aveva nei suoi cassetti dei sondaggi d'opinione molto più attendibili di quelli che venivano distribuiti al pubblico mondiale dalla CNN e dalle altre corazzate dell'informazione manipolata. Sondaggi che riflettevano un possibile risultato come quello che poi si è verificato nella realtà, e cioè che Trump era in grande vantaggio. E, dunque la squadra della signora Clinton (Barack Obama partecipe) stava tramando per tentare qualche operazione diversiva per invalidare il voto.

L'uscita, a una settimana dal voto, della nuova incriminazione della Clinton, da parte dell'FBI, assumeva l'aspetto di una contromanovra politica equivalente a un siluro contro la candidata democratica. Dunque, riassumendo, la vittoria di Trump è stata preceduta da una vera e propria contesa "all'ultimo sangue" sotto il tappeto. Di cui naturalmente il mainstream non ha dato alcuna notizia. Fino a che la scontitta della "sicura vincitrice" ha assunto tali proporzioni da rendere praticamente impossibile ogni tentativo di falsificazione del voto.

Ma questo è un altro capitolo della storia: quello di una crisi profonda della democrazia americana. Per ora sono i dati a parlare: Trump è presidente, con il controllo dell'intero Congresso, essendosi assicurato la maggioranza della Camera dei rappresentanti e del Senato.

La spiegazione del "mistero" sta nel fatto che Trump ha parlato a un "America profonda" che non è stata nemmeno consultata dai sondaggisti: quella che non è mai andata a votare e che è disgustata dalle élites che si sono alternate al potere in questi ultimi decenni. Perfino i "latinos", che avrebbero avuto da temere dalle sue dichiarazioni quasi razziste, hanno in gran parte votato per lui. Perfino molte donne (che lui ha abbondantemente offeso in campagna elettorale) hanno votato per lui. Vuol dire che, in una significativa misura, l'insofferenza popolare contro la "casta washingtoniana" è divenuta predominante su ogni altra considerazione, ed è stata decisiva.

Stiamo assistendo dunque, nello stesso tempo, a una sonora lezione alle classi politiche dominanti in America in Europa. Incapaci non solo di affrontare la crisi che le travaglia, ma anche di uscire dalle illusioni che le accecano. Gli adoratori dell'America non si sono accorti che essa non è (più) quella che loro si figuravano. È migliore o peggiore? Non lo sappiamo al momento. Certo è in crisi. C'è da sperare che sia migliore dell'establishment che ha appena sonoramente sconfitto.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © REUTERS / Ammar Awad

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