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di Giulietto Chiesa
La vicenda di Julian Assange rischia di trasformarsi in un disastro politico per gl’inventori del cosiddetto RussiaGate

Il governo britannico, in grande difficoltà per il Brexit, l’ha fatto arrestare e prelevare nell’ambasciata dell’Ecuador commettendo un illecito diplomatico, seppure “autorizzato” da Quito, penetrando in un territorio straniero. Con una motivazione debole (essersi sottratto a un interrogatorio), ma aprendo la strada a una richiesta americana di estradizione prontamente predisposta dal Dipartimento di Giustizia di Washington.
Il guaio è che quest’ultimo non aveva e non ha in sostanza niente da imputargli. Infatti l’’imputazione” pronta per Julian Assange è quella di avere cospirato con l’allora David Manning per “effettuare una intrusione in un computer”. Che è cosa diversa, sostanzialmente, dall’aver effettuato una illegale intrusione. Il fatto è che il giudice accusatore non ha alcuna prova di una tale intrusione. Per cui chiede l’estradizione sulla base di un pensiero, cioè di una intenzione. Che viene chiamata “cospirazione”. In tal modo la cospirazione viene identificata con un pensiero, o con una idea (è la stessa cosa). E, con ciò, viene cancellato il Primo Emendamento della Costituzione americana, che “garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente; e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti”. Insomma un vero pasticcio.
Ma ecco apparire la dichiarazione di Rudy Giuliani, avvocato di Trump, che afferma che Assange potrebbe, se interrogato, dire quello che sa in merito al RussiaGate. Cioè che non solo lui non c’entra niente, ma che non c’entrano niente nemmeno i russi. Visto che i documenti sulla Clinton, ricevuti e pubblicati da Wikileaks, furono trafugati probabilmente da un funzionario del Partito Democratico e non mediante un hackeraggio compiuto da lontano, (cioè dai russi). Più banalmente furono copiati con qualche click di computer, a Washington.

Il funzionario in questione, Seth Rich, purtroppo non è più in circolazione a Washington, essendo stato ammazzato il 19 luglio 2016, sotto il portone di casa alle 2 di notte. E ciascuno può fare le ipotesi che vuole circa i mandanti di quell’assassinio. Le indagini sono ferme da allora e a fermarle non sono certo gli hackers russi. Ma è evidente che a Washington c’è chi conosce come Rich è stato ammazzato. Tra questi ci sono molti ex agenti della CIA e dell’FBI che potrebbero saperne di più.

Tra questi c’è Bill Binney, che sarebbe stato contattato da Mike Pompeo, allora capo della CIA, per sapere se riteneva valida la tesi dei VIPS (Veteran of Intelligence professionals for Sanity) secondo cui, appunto, il supposto hackeraggio russo delle email della Clinton, sarebbe dimostrabilmente impossibile dal punto di vista tecnico e ciò che successe fu invece un furto effettuato manualmente da qualcuno che aveva accesso all’edificio del Partito Democratico. Era Seth Rich?
Bill Binney ha già fatto sapere ripetutamente di non credere all’hakeraggio russo e di averlo detto a Pompeo, che ora è salito di grado nell’Amministrazione Trump. Ora l’uscita di Giuliani a difesa di Assange (“non ha fatto niente di illegale”) fa pensare che l’entourage di Trump si aspetta di trarre vantaggio degl’infortuni dei suoi nemici e dal sopraggiungere potenziale di altre rivelazioni. “Pensiamo all’Ucraina”, ha aggiunto Giuliani, suggerendo una linea inedita di possibili indagini che potrebbero fare luce sul punto di origine dell’inchiesta appena conclusasi con un nulla di fatto, affidata dal Deep state all’ex capo dell’FBI, Robert Mueller Jr.
Cosa c’entri Assange - e se c’entri qualche cosa - in tutto questo non è affatto chiaro. Chiaro è che potrebbe presto trovarsi in pericolo, esposto com’è alla grande macchina del fango che è divenuta l’informazione anglo-americana.

Tratto da:
it.sputniknews.com

Foto © Imagoeconomica

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