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I pg di Cassazione: “Si annulli con rinvio perché almeno una parte delle prove a supporto della sentenza è desunta indiziariamente”. I giudici si esprimeranno il 27 aprile

I sostituti procuratori generali della Cassazione, Pietro Molino e Tomaso Epidendio con l'avvocato generale Pasquale Fimiani, hanno chiesto un nuovo processo di appello per gli ex vertici del Ros dei Carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-Mafia. I Pg hanno chiesto anche la conferma dell’assoluzione dell’ex Senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri. I quattro sono imputati, insieme al boss Leoluca Bagarella e al medico mafioso Antonino Cinà, con l’accusa di minaccia e attentato a corpo politico dello Stato. In primo grado sono stati tutti condannati (12 anni a Mori, Subranni, Dell’Utri e Cinà, 8 a De Donno, 28 a Bagarella) mentre in appello sia gli ufficiali dei carabinieri che Marcello Dell’Utri sono stati assolti (quest’ultimo per non aver “commesso il fatto”, gli altri “perché il fatto non costituisce reato”). Ora la palla è passata al collegio della Suprema Corte, presieduto da Giorgio Fidelbo, che si dovrà pronunciare sul ricorso presentato dalle parti, in particolare quello della procura generale di Palermo che ha descritto come “contraddittoria e illogica l’assoluzione dei carabinieri, sul presupposto erroneo che abbiano agito in modo improvvido ma con finalità solidaristiche”, come scritto la corte d’Appello di Palermo. La sentenza dei giudici ermellini è stata fissata al 27 aprile prossimo. Nel corso della requisitoria di stamane il pg ha chiesto che un processo bis venga fatto anche per il boss di Cosa Nostra, Leoluca Bagarella, condannato dai giudici di Appello di Palermo a 27 anni e per il medico Antonino Cinà, ritenuto vicino a Totò Riina, a cui in secondo grado furono inflitti 12 anni di reclusione.


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Da sinistra: Giuseppe De Donno, Marcello Dell’Utri, Mario Mori e Antonio Subranni


Nelle conclusioni della sua requisitoria il rappresentante dell'accusa ha, quindi, sollecitato "l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla minaccia nei confronti dei governi Amato e Ciampi". Per il pg la sentenza di secondo grado descrive "la trattativa negli anni ma non fa una precisa ricostruzione della minaccia e di come sia stata rivolta al governo" e lo fa solo in modo "congetturale". Nel corso del suo intervento il procuratore generale ha aggiunto che è "necessario annullare la sentenza con rinvio" perché "almeno una parte delle prove a supporto della sentenza è desunta indiziariamente" e le accuse non sono dimostrate "oltre ogni ragionevole dubbio". "A questa esigenza di certezza processuale - ha aggiunto il pg - la sentenza fornisce una risposta non conforme al diritto e difettosa sul piano motivazionale". Per il procuratore generale, quindi, "risulta decisivo stabilire cosa sia stato detto precisamente al ministro (Giovanni Conso, ndr) e in che modo gli sia stato rappresentato: posto che un conto è essere stato messo a conoscenza di una spaccatura all'interno di Cosa nostra che abbia determinato il ministro ad assumere autonomamente una iniziativa del genere (che non configura di per sé la minaccia qualificata nei termini che si sono ampiamente ricostruiti in memoria) nella speranza di interrompere la stagione delle stragi, altro è rappresentare al ministro stesso che 'Cosa Nostra' si era dimostrata disponibile ad interrompere l'azione stragista e di aggressione ad esponenti di spicco della politica e della magistratura italiana in caso di 'segnali di distensione' quali appunto la mancata proroga di un cospicuo numero di provvedimenti ex articolo 41-bis adottati nei confronti di appartenenti alla Mafia)".


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L'ex ministro di grazia e giustizia, Giovanni Conso © Imagoeconomica


Nelle migliaia di pagine delle motivazioni della sentenza di secondo grado i giudici siciliani, spiegando le ragioni dell'assoluzione dal reato di minaccia a Corpo politico dello Stato e parlando del ruolo svolto dai militari dell'Arma, hanno scritto che "una volta assodato che la finalità perseguita, o comunque prioritaria, non fosse quella di salvare la vita all'ex ministro Mannino o ad altre figure di politici che rischiavano di fare la fine di Lima, nulla osta a riconoscere che i carabinieri abbiano agito avendo effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all'escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell'ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane".


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Il sit-in organizzato dalle Associazioni "Our Voice" e "Attivamente" davanti alla Corte di Cassazione durante l'ultima fase del processo Trattativa Stato-Mafia © Our Voice


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