L'interesse del boss Papalia nelle missive inviate a Reggio Calabria e Palermo
Non sono pochi gli elementi che si incrociano tra il processo trattativa Stato-mafia e quello calabrese 'Ndrangheta stragista (ancora in corso in sede d'appello).
Abbiamo già visto in precedenza come tra i “punti di contatto” vi sia il riferimento alla misteriosa sigla della Falange Armata, utilizzata per la prima volta nella rivendicazione dell'omicidio dell'educatore carcerario Umberto Mormile.
Nella ricostruzione che è stata fatta dai collaboratori di giustizia come Vittorio Foschini (braccio destro del boss Franco Coco Trovato, alle dirette dipendenze di Antonio Papalia, "il capo di tutta la ‘Ndrangheta della Lombardia" e fratello di Domenico Papalia) quella sigla fu suggerita direttamente dai Servizi Segreti.
Quando fu sentito nel processo di Palermo Foschini disse in maniera chiara che l'ordine dell'omicidio Mormile “venne da Domenico Papalia, consigliato dai Servizi segreti se non avesse accettato di farsi corrompere. Ci provammo, ma lui non accettò. E così partì l'ordine per ammazzarlo. Fu rivendicato come dei terroristi. A fare la telefonata fu Antonio Schettini. Come? Sempre i servizi avevano dato indicazione a Papalia di fare così, di dare questa notizia come Falange Armata".
E poi ancora aggiunse che “nella 'Ndrangheta era risaputo che Domenico Rocco e Antonio Papalia avevano contatti con i Servizi segreti. C'era un patto per cui loro scesero a Reggio. Non si dovevano fare più sequestri e in cambio i servizi avrebbero lasciato stare i latitanti in pace. E promisero anche sconti di pena. E Papalia aveva anche paura dei servizi. Perché loro uccisero Totò D'Agostino, che aveva violato accordi. E, mi disse Papalia, lo uccisero davanti a lui. E fu costretto a accollarsi l'omicidio. Anche se si era sempre dichiarato innocente".
Ovviamente tutte queste vicende sono state approfondite nel processo d'appello 'Ndrangheta stragista. La Corte presieduta da Bruno Muscolo, infatti, ha già sentito o acquisito verbali dei collaboratori di giustizia Antonio Schettini, Antonino Parisi e Nunziato Romeo.
Il Procuratore aggiunto Lombardo, evidenziando proprio l'importanza di queste testimonianze, aveva anche messo in evidenza come la sigla Falange Armata fu utilizzata nell'agosto 1991 anche per rivendicare l'omicidio del giudice Scopelliti. "Rileggendo le carte del processo Scopelliti - aveva spiegato alla Corte - è emerso un dato che, in quell’ambito processuale, non aveva avuto alcun peso. È il primo episodio rivendicato Falange Armata successivo alla riunione di Enna del giugno 1991 in cui Riina recepisce la sigla dai Papalia e dice: ‘Da questo momento in poi tutto quello che faremo sarà rivendicato Falange Armata’. Il primo episodio è l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Oggi siamo in grado di capire perché Riina prende la sigla che viene indicata a Micu Papalia dalle componenti deviate dei servizi. Perché Riina e Papalia sono i vertici nazionali di ‘Ndrangheta e Cosa Nostra. Quindi Micu Papalia non è uno dei tanti. Totò Riina non ha preso la sigla di uno dei tanti. Ha preso la sigla che era stata indicata al vertice dell’altra componente mafiosa”. E di questo, oltre a Foschini, hanno parlato anche altri collaboratori come Totò Schettini le cui dichiarazioni sono entrate nel processo d'appello in corso a Reggio Calabria.
Quelle lettere del boss Domenico Papalia
Fatto assurdo è che certe dichiarazioni il pentito le aveva già fatte nel 1996, ma per anni non sono mai state prese in considerazione.
A causa delle notevoli difficoltà del suo stato di salute la Procura generale ha rinunciato alla sua deposizione ottenendo l'acquisizione dei verbali da lui rilasciati, in cui spiega esattamente che la Falange Armata è una “sigla suggerita da appartenenti deviati ai servizi”. Non solo.
La descriveva come “un’operazione che segue un’altra operazione precedente che la ‘Ndrangheta ha gestito insieme ad apparati deviati dello Stato in relazione ai sequestri di persona nella Locride”. “E cioè - come ha ricostruito Lombardo -, spiegava, che a un certo punto era arrivato l’ordine da Roma che i sequestri di persona dovevano finire e ovviamente i vertici della ‘Ndrangheta, e in particolare i Papalia, hanno detto i soldi che ci fruttano i sequestri dove andiamo a prenderli? Visto che quei soldi venivano spartiti a metà tra quelle componenti deviate e la ‘Ndrangheta?”. “Schettini dunque spiega che avevano detto loro che si conclude un progetto e ne inizia un altro in cui ovviamente questo sistema industriale di gestione congiunta andrà avanti e che questo progetto si chiamerà Falange Armata”. Questo, ha ribadito più volte Lombardo, “venne detto già nel 1996”. “Ed è quello che ci manca, proprio perché ora abbiamo la dimostrazione processuale di quello che significa questa sigla, del perché i primi ad utilizzarla sono uomini di ‘Ndrangheta, del perché la ‘Ndrangheta passa quel riferimento specifico ai vertici di Cosa nostra, e del perché sullo sfondo ci sono tutta una serie di situazioni difficilmente tracciabili, ora invece ampiamente tracciate, nel contatto tra la componente tipicamente mafiosa e componenti di altro tipo”.
Alla luce di questa traccia è evidente il “rumore” che possono portare certe verità. Perché rafforzano l'idea dell'esistenza di un Sistema criminale, o di uno Stato-mafia, che resiste da tempo.
E il rumore dà “fastidio” ai protagonisti di certe vicende.
E' così che lo stesso boss Domenico Papalia ha preso carta e penna per scrivere prima alla Corte d'assise d'appello di Palermo, contestualmente alle deposizioni dei collaboratori Foschini, Pace e Cuzzola. Quindi anche alla Corte d'assise d'appello di Reggio Calabria.
Ne ha dato atto lo stesso Presidente Bruno Muscolo, il 17 febbraio 2022.
Una lettera che è stata acquisita agli atti e che presenta al suo interno anche messaggi chiari contro il lavoro del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo.
Domenico Papalia “per amore di giustizia” (dice lui) inveisce contro i collaboratori di giustizia citati in primo grado e in appello e scrive: “Io non sono imputato in codesto procedimento, ma sentendo le falsità che hanno e che vi raccontano detti propalatori non posso tacere. Preciso che il dott. Lombardo ha gettato la rete e ha raccolto tutta la spazzatura del pentitismo italiano per farla convergere nel presente procedimento. Sicuramente suo padre (Rocco Lombardo) che aveva altra concezione del diritto non sarebbe orgoglioso di suo figlio che va sì, elogiata la fantasia retrologica, ma non la capacità valutativa sui falsi collaboratori di giustizia prendendo per vangelo le falsità che raccontano. In primo grado ha portato due personaggi che pensano di prendere in giro la giustizia e quando sono ascoltati in qualche processo che sono certi che né i magistrati né gli avvocati conoscono la loro storia e le precedenti dichiarazioni fatte, si mettono d'accordo e dicono cose diverse gettando fango sulle persone. Questi sono Cuzzola Antonino e Vittorio Foschini ai quali si è aggiunto Nino Fiume. Nessuna verifica è stata fatta di ciò che hanno dichiarato”. E poi ancora: “Io sono in carcere da 45 anni e se collaborassi con i Servizi segreti non sarei ancora qui con la certezza di finire i miei giorni in carcere (...) E' lontana anni luce da me, la mentalità di avere a che fare con servizi segreti o deviati e tutti sanno che sono stato molto lontano da coloro che avevano contatti se a conoscenza”.
“Tutti sanno” dice Papalia in quella missiva. Ma “tutti” chi? I suoi sodali? La sua famiglia? Altri componenti criminali?
Sempre nella missiva Domenico Papalia spiega la sua verità sul delitto Mormile, negando ogni coinvolgimento, nonostante la condanna. Dice la sua anche sulla morte di Antonino Gioè e poi attacca un altro collaboratore, Annunziatino Romeo, affermando di non averlo mai conosciuto.
“Sono in carcere da mezzo secolo - prosegue Papalia - e non vedo come si possa dare credito a Romeo che sono al vertice nazionale della 'Ndrangheta, a parte che nessun elemento ci dà conoscenza di un vertice nazionale di qualsiasi tipo di criminalità in Italia (in realtà vi sono collaboratori di giustizia come Leonardo Messina o Di Giacomo che ne parlano ma solo oggi si sta compiendo una rilettura di certe dichiarazioni, ndr). E anche se esistesse tale organismo non verrebbe certo affidato a un pastore ignorante dell'Aspromonte con tante menti raffinate in tali organizzazioni (Papalia conosce dunque i nomi delle menti raffinate?, ndr). Si metta l'anima in pace e mi dispiace deludere il dott. Lombardo: io non ho fatto mai parte della 'Ndrangheta e sono solo illazioni giornalistiche e non temo di essere smentito di non aver mai partecipato a nessuna seduta di 'Ndrangheta. A parte che sono in carcere da 50 anni, oltre altri periodi sofferti da ragazzo. Le mie azioni sono di delinquenza comune fin da giovane e oggi sono persona diversa e cambiata per cui se avesse fatto parte della 'Ndrangheta non avrei difficoltà ad ammetterlo. Sono circa 30 anni che in carcere faccio volontariato e mi occupo di problemi sociali”.
Tra un volontariato e l'altro, però, spicca sicuramente questo interesse per i processi di Palermo e Reggio Calabria. O magari interessi nei confronti di quei soggetti che dovevano essere sentiti.
E in un attimo il racconto di Romeo “è solo fantasia per ingannare la giustizia”, Antonio Parisi “non so chi sia” e Antonio Schettini “non gestiva il traffico di droga per conto dei Papalia”.
Certo è che Annunziatino Romeo, sentito in udienza lo scorso giugno ha compiuto un'incredibile retromarcia rispetto a quanto disse in precedenti verbali del 1996 in cui raccontava anche fatti precisi proprio sui Papalia.
“A Platì ci sono quattro famiglie - aveva detto all'epoca - rappresentano quattro famiglie ma tutti fanno capo a Barbaro Rosario... Il locale di Platì fa parte di tutta una famiglia. I Trimboli, gli Agresta, i Perra e i Barbaro sono tutti una famiglia. Anche se con cognomi diversi hanno un rappresentante di famiglia”.
E poi ancora aveva parlato di Totò Delfino (preside a Bovalino e fratello del generale Francesco Delfino, ndr) dichiarando che questi aveva rapporti stretti con Rosario Barbaro e che addirittura dava direttive all'interno della 'Ndrangheta di Platì.
Delfino, in base al suo racconto, sarebbe stato un uomo di vertice all'interno dell'organizzazione criminale. “Totò Delfino è uno dei massimi esponenti della politica in Calabria - aveva detto al tempo - e proprio per questo voleva che Platì prendesse una leadership della 'Ndrangheta in tutta la Calabria”. E poi aveva aggiunto: “Barbaro Rosario da Massara, Barbaro Giuseppe 'u Nigru', e Papalia Antonio, fratello di Domenico Papalia, sono i vertici della 'Ndrangheta di Platì. Il rappresentante della famiglia dei Papalia è Domenico. E non solo è rappresentante della sua famiglia, è rappresentante nazionale della 'Ndrangheta. Cosa significa? E' il massimo uomo che la 'Ndrangheta ha su tutto il territorio nazionale. L'uomo di prestigio, Domenico Papalia. E' lui il cervello. E suo fratello, Antonio Papalia è il rappresentante di tutta la 'Ndrangheta in Lombardia. Il rappresentante della Lombardia consiste in questo: che tutti i facenti parte della 'Ndrangheta in Lombardia, che commettevano reati in Lombardia, dovevano dar conto ad Antonio Papalia. Questo perché lo ha voluto Domenico”.
E sempre nel verbale del '96 aveva affermato che “il cugino di Paolo De Stefano (l’avvocato, ndr) Domenico Papalia e Totò Delfino sono i tre cervelli della 'Ndrangheta in Calabria”.
Dopo il fiume di “non so” e “non ricordo” Lombardo ha evidenziato l'esistenza di elementi che fanno ritenere che lo stesso Romeo sia stato intimidito e spinto a dichiarare il falso.
(Continua)
Rielaborazione grafica di copertina by Paolo Bassani
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