E' prevista questo pomeriggio la sentenza della Corte d'assise d'appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino (a latere Vittorio Anania), per il processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. I giudici, entrati in camera di consiglio lunedì, dopo le controrepliche delle difese, pronunceranno il dispositivo nell'aula bunker del carcere Pagliarelli.
Difficile pronosticare se verrà data ragione alla pubblica accusa, rappresentata dai sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, che ha chiesto di confermare tutte le condanne del primo grado, o se verranno sposate le contestazioni delle difese.
Con la sentenza di primo grado, il 20 aprile 2018, vennero condannati a dodici anni di carcere gli ex vertici del Ros dei carabinieri, Mario Mori e Antonio Subranni. Stessa pena per l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri e per Antonino Cinà, medico fedelissimo di Totò Riina. Otto anni di detenzione erano stati inflitti all’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, ventotto quelli per il boss Leoluca Bagarella. Diversamente erano state prescritte le accuse nei confronti del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, mentre era stato assolto Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza: per l’ex ministro della Dc la procura non aveva fatto ricorso, quindi la sentenza è poi diventata definitiva.
Nel corso del processo di appello sono state invece dichiarate prescritte le accuse a Massimo Ciancimino, uno dei testimoni chiave del processo, che in primo grado era stato condannato a 8 anni per calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro.
Non sono arrivati alla sentenza di primo grado, in quanto deceduti, i due imputati principali: Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Tutti gli imputati condannati erano stati riconosciuti colpevoli del reato disciplinato dall’articolo 338 del codice penale: quello di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.
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