“Vuoti dichiarativi e documentali rafforzano la versione del Riggio”
“I vuoti dichiarativi e documentali del generale Pellegrini e del colonnello Tersigni rafforzano, a giudizio dell'odierno requirente, la versione del Riggio”. A dirlo è il sostituto procuratore generale Giuseppe Fici che, assieme a Sergio Barbiera, rappresenta l'accusa nel processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia.
Entrambi hanno chiesto di risentire in aula i due ufficiali al seguito di alcune acquisizioni documentali effettuate presso la Dia di Palermo in cui emergerebbero ulteriori elementi sul rapporto con l'allora confidente, ed oggi collaboratore di giustizia, Pietro Riggio.
Secondo Fici le audizioni dei due teste, sentiti lo scorso 27 gennaio “hanno presentato notevoli criticità” in quanto “non hanno aiutato” la Corte a comprendere meglio quanto avvenuto durante quegli anni in cui vi fu il rapporto con l'allora confidente nisseno.
“La mancanza di relazioni di servizio, o di appunti riservati, nei primi 16-17 mesi della pluriennale interlocuzione tra la Dia di Palermo ed il pregiudicato e confidente Pietro Riggio è significativa – ha detto rivolgendosi alla Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino – Il generale Pellegrini ha riferito degli appunti che aveva nell'agenda che gli ha permesso di correggere certe amnesie rispetto alle prime audizioni di Caltanissetta, ricordandogli che in effetti esisteva Porto, che esisteva Mazzei, dell'incontro con Riggio in presenza di questo signore con l'anello. Tuttavia di documentale c'è ben poco. E leggendo gli appunti si trae il convincimento che essi contengono poca cosa”.
Ha spiegato il sostituto Procuratore generale che presso la Dia è stata acquisita ulteriore documentazione su quel rapporto confidenziale di cui c'è poco o nulla nei mesi precedenti al maggio 2001. "Non sono mai state redatte relazioni e appunti riservati? - si è chiesto Fici - E perché, se così è? Come si fa a gestire in questo modo, quando poi nella fase successiva è ben documentato come correttamente deve essere gestito un rapporto di questo genere? E' sparito tutto? E perché? Sono domande a cui non si può e non si deve sfuggire nel valutare le circostanze riferite dal Riggio che non sono state confermate dai due ufficiali dei carabinieri, prime fra tutti il progettato di attentato al dottor Guarnotta, ma anche il disinteresse all'idea del Riggio, che aveva in mano la fascetta di banconote, che con una microspia avrebbe potuto viaggiare verso Provenzano”.
Argomenti che, ha garantito il magistrato, saranno affrontati in sede di requisitoria.
Tuttavia vi sarebbero alcuni documenti che meriterebbero un approfondimento. Perché mentre Tersigni aveva assicurato in aula di non aver mai avuto a che fare con Riggio prima del maggio 2001, vi sarebbe un documento, rinvenuto in una carpetta, “in cui si documenterebbe già da gennaio 2001 il coinvolgimento del Tersigni. Il periodo è quello delle famose intercettazioni preventive per la vicenda Peluso. Un appunto del 21 gennaio 2001”. “Ci sono annotazioni a penna – ha illustrato ancora Fici – e si fanno dei riferimenti a omicidi successivi che fanno dubitare della data del gennaio 2001, però c'è questa criticità”. Nel documento vi sarebbero anche dei riferimenti alle attività criminali riferite dal Riggio. Alla scorsa udienza gli ufficiali della Dia hanno riferito di non sapere nulla del “pieno coinvolgimento del Riggio nelle attività di pizzo, ma qua sembrerebbe documentato l'esatto contrario”.
Appunti riservati su Carmelo Barbieri
Altri documenti sono stati rinvenuti rispetto agli incontri con la “fonte Marco”, ovvero Carmelo Barbieri, numerati documentalmente tra l'ottobre 2002 e l'aprile 2003. “Durante la testimonianza di Pellegrini – ha proseguito il Pg – all'inizio ha detto di non ricordare il nome di Barbieri, poi ha detto che è andato a trovarlo a Bologna su indicazione di Riggio. Poi a domanda specifica, che è andato a trovarlo al carcere di Teramo prima della scarcerazione dello stesso. Dalle dichiarazioni di Barbieri, sentito a Caltanissetta il 10 dicembre 2018, questi ha raccontato di aver incontrato Pellegrini durante la prima carcerazione, il quale chiedeva notizie utili per Provenzano. Nel 2002, mentre era a Ravenna, ha poi riferito di aver incontrato, presso la stazione ferroviaria, due soggetti che si presentarono come appartenenti alle istituzioni che gli dissero testualmente: 'siamo dello Stato, ma non siamo lo Stato. Siamo dall'altra parte', specificando che non erano militarizzati. Il contesto era sempre della ricerca di Provenzano in cambio di denaro. Ha anche detto che informò dell'incontro avuto precedentemente con Pellegrini, ma ebbe l'impressione che gli stessi fossero già informati. Dunque Pellegrini, il maggiore Tricarico che incontrerà successivamente, sono interlocutori diversi. E Pellegrini e Tersigni, diciamo che non hanno aiutato la corte a comprendere chi possono essere questi altri soggetti. E' nitido il ricordo di tutti quando Pellegrini, parlando della presenza di Mazzei alla Dia di Roma, rispondendo al perché questi si trovasse in quel luogo, ha risposto: 'mah era lì'. Un passaggio non particolarmente confortante”.
La questione dei dischetti sequestrati e dei telefoni restituiti a Napoli Giovanni
Un altro approfondimento compiuto in questi mesi dalla Procura generale riguarda alcune dichiarazioni fatte dal collaboratore di giustizia Ciro Vara, ribadite anche nel processo di primo grado, su alcuni dischetti sequestrati e restituiti a Giovanni Napoli, fedelissimo di Provenzano, a seguito di una perquisizione del Ros nella sua abitazione. “Giovanni Napoli - disse Vara nel processo di primo grado - mi disse che avevano fatto una perquisizione a casa sua dopo che era stato arrestato nel ‘98 e avevano trovato dei dischetti, dopo qualche giorno il comandante dei Carabinieri di Mezzojuso (Pa) glieli aveva restituiti... Lo stesso Napoli mi diceva che doveva esserci qualcosa di interessante in quei dischetti. Lui li aveva fatti registrare per Provenzano…”. E allora il pm Di Matteo fece notare che in un verbale precedente aveva specificato che poteva trattarsi di interessi economici in comune tra Giovanni Napoli e Bernardo Provenzano in merito alla vendita di alcuni immobili a San Vito Lo Capo (Tp).
Su quella possibile sparizione dei dischetti la Procura generale ha compiuto accertamenti. E' stato confermato che effettivamente furono sequestrati sette dischetti. Non solo. E' emerso che gli stessi furono esaminati da uno scrivente ufficiale del Ros, ma che non sarebbe riuscito a leggere nulla, rimettendo la valutazione all'autorità giudiziaria. “La restituzione dei dischetti non è confermata o smentita, ma si sapeva che erano stati esaminati da un sottoufficiale che si indicava come coscrivente, il maresciallo Gigliotti Pasquale – ha descritto Fici – E' emerso che i dischetti furono consegnati all'autorità giudiziaria e fu dato conferimento di incarico peritale al dottor Gioacchino Genchi che li esaminò, riuscendo a recuperare un frammento di documento cancellato". Genchi, a sua volta, manifestò all'autorità giudiziaria l'esigenza di sequestrare il computer che aveva lavorato sui quei sette dischetti. “Vi fu una perquisizione disposta dalla pm Principato nel novembre 1998. Presso la casa di Giovanni Napoli fu sequestrata una corposa documentazione su possidenze immobiliari e contabilità dello stesso anche nel territorio di San Vito Lo Capo. Una sorta di riscontro al dichiarato del Vara. Risulta che il computer fu rinvenuto presso l'ufficio di informatica di assistenza, perché lo stesso, a detta della signora Napoli, aveva bisogno di un controllo e di una revisione. Così Genchi completò l'accertamento sui 7 dischetti, sui floppy disk ed il computer che sono ancora nella disponibilità materiale del dottor Genchi che sviluppò una complessa consulenza, recuperando alcuni frammenti di documenti dal contenuto non dico ambiguo, ma diciamo non particolarmente usuale”.
La Procura generale ha dunque proceduto all'audizione del maresciallo Gigliotti. Questi avrebbe riferito che al tempo si trovava al Ros da pochi mesi, di non aver mai avuto competenze informatiche. Tuttavia lo stesso avrebbe riconosciuto la firma sul documento, ma al contempo affermando di “essere stato fregato” perché nessuno lo avrebbe delucidato su cosa stesse firmando.
Ugualmente è stato sentito il luogotenente Sebastiano Serra, che era tra i presenti alla perquisizione dell'abitazione di Giovanni Napoli e che al tempo era solo tirocinante al Ros.
E' emerso dalla documentazione che al Napoli furono restituiti alla moglie, pochi giorni dopo la perquisizione, non i dischetti, ma tre telefoni cellulari ed un'apparecchiatura di rilevamento di microspie satellitari. “Non furono sequestrati quegli elementi – ha detto il Pg – ma acquisiti per ragioni investigative”. Su questi argomenti è stata chiesta l'acquisizione dei verbali o in alternativa l'audizione dei due sottoufficiali.
Da Baiardo alla sentenza 'Ndrangheta stragista
Infine la Procura generale ha anche chiesto l'acquisizione della sentenza della Corte d'assise di Reggio Calabria del processo 'Ndrangheta stragista, che ha visto la condanna all'ergastolo di Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone. Assieme alla sentenza è stata chiesta l'acquisizione di una scheda dedicata a Salvatore Baiardo, uomo vicino ai boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano di cui gestì la latitanza. Si tratta del “gelataio” di Omegna che lo scorso gennaio, intervistato da Report, aveva parlato degli incontri tra Graviano, Berlusconi e Dell'Utri. Le difese di Marcello Dell'Utri e di Mario Mori, dopo aver ribadito la contradditorietà delle dichiarazioni di Riggio e auspicato che il processo possa volgere al termine il prima possibile, hanno sollecitato un termine per esprimersi sulla nuova attività prodotta oggi dall'accusa. La Corte ha quindi rinviato al prossimo 15 febbraio per acquisire le valutazioni delle difese e decidere, quindi, se ammettere o meno le richieste dell'accusa.
In foto: il generale Angiolo Pellegrini © Imagoeconomica
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