di Aaron Pettinari
Le difese chiedono di conoscere tutti gli atti. La dirigente della Squadra mobile di Caltanissetta deporrà il 14 dicembre
Non si può certo dire che non abbiano fatto rumore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio al processo Stato-mafia e non solo per l'approfondimento a lui dedicato dalla trasmissione Atlantide, condotta da Andrea Purgatori. In due deposizioni di fronte alla Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino (a latere Vittorio Anania), non ha affrontato solo l'argomento delle confidenze raccolte sulla strage di Capaci, indicando il nome ed il cognome di possibili soggetti esterni che potrebbero aver avuto un ruolo nel delitto, ma ha anche parlato del possibile ruolo di Marcello Dell'Utri come colui che “suggerisce la creazione del nuovo partito e indica quelli che erano i luoghi delle stragi in Continente”; della creazione di una squadretta per arrivare all'arresto di Bernardo Provenzano; di un progetto di attentato al giudice Guarnotta; di quello che ha saputo sulla morte di Luigi Ilardo e Antonino Gioé.
Elementi che, di fatto, muovono l'interesse di più Procure.
Nel processo di Palermo, nei mesi scorsi, sono state depositate dalle parti i verbali non omissati degli interrogatori svolti il 7 ed il 26 giugno 2018. Assieme ad essi gli esiti degli accertamenti svolti dalla Squadra mobile di Caltanissetta.
Proprio in merito a ciò, per chiarire quali siano stati i riscontri accertati rispetto alle dichiarazioni del pentito, oggi era stata chiamata a deporre Marzia Giustolisi, dirigente della Squadra mobile nissena, ma l'esame si è dovuto interrompere dopo la richiesta delle difese (su tutte quella dell'ex senatore Marcello Dell'Utri) di avere la certezza che le domande vertano solo sugli atti non omissati.
Fino a quel momento la Giustolisi aveva confermato la comune detenzione, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, tra lo stesso pentito nisseno e i due soggetti, Giovanni Peluso e Giuseppe Leonardo Porto, entrambi appartenenti alla Polizia di Stato e poi destituiti dal Capo della Polizia. Soggetti entrambi indicati da Riggio come appartenenti ai Servizi e membri della squadra che si sarebbe dovuta occupare dell'arresto di Provenzano. In particolare è stato confermato che gli stessi sono stati scarcerati prima di Riggio e, soprattutto, che Porto, pur “non avendo mai percepito emolumenti dalla Presidenza del consiglio dei ministri” era “un collaboratore esterno dei Servizi”.
Messaggi cifrati
Tra gli accertamenti effettuati di cui si è dato atto vi è anche il rinvenimento, durante una perquisizione disposta dalla Dda nissena presso la casa della madre di Riggio, avvenute il 29 giugno 2018 ed il 3 luglio 2018, “di numerosa corrispondenza intercorsa tra Riggio, il Porto, il Peluso e Pasquale De Nicola, altro dei soggetti detenuto con lui presso Santa Maria Capua Vetere”. “Posso dire - ha detto la Giustolisi - che queste missive erano caratterizzate dall'utilizzo di un nome in codice da parte di tutti e quattro. Il Porto si firmava 'Elliot', il Peluso 'Giaguaro'; De Nicola 'El Tano'. Riggio ne utilizzava tre, per lo più 'Cobra', 'Pedro' o 'Gabriel'. Non abbiamo mai trovato la firma di Peluso, piuttosto che di Porto, di De Nicola o lo stesso Riggio o altro. Il linguaggio era criptico e veniva utilizzato un alfabeto creato da loro stessi, anch'esso criptato. Veniva utilizzato per indicare o dei cognomi o le località. Questo alfabeto siamo riusciti a decriptarlo perché tra le tante missive sequestrate ve ne era una, tutta scritta in codice però il Riggio aveva annotato su ogni lettera la corrispondente vocale o consonante dell'alfabeto”.
Rispondendo alle domande del sostituto procuratore generale Giuseppe Fici (presente in aula assieme al collega Sergio Barbiera), la Giustolisi ha spiegato che la Squadra mobile nissena non ha compiuto accertamenti su tutto il dichiarato.
All'elenco mancano le confidenze che Riggio avrebbe ricevuto in carcere da Del Vecchio e Barrella sulla vicenda Mezzojuso e la mancata cattura di Provenzano, il possesso di un telefono da parte di Riina in carcere nel 1993 e la morte in carcere di Gioé.
Spunti investigativi ovviamente di competenza di altre Procure rispetto a quella di Caltanissetta che aveva disposto le prime deleghe di indagine.
Diversamente sono stati compiuti accertamenti sul “rapporto di collaborazione instaurato da Riggio con la Dia in epoca successiva all'aprile 2000 (“Il rapporto era esistente tra Pellegrini, Tersigni, Terrazzano e il Riggio, indicato come fonte, nome in codice 'Ugo'”) e sono stati individuati anche quelli che furono i soggetti con cui Riggio interloquì a Roma nei locali della Dia. Accanto a Pellegrini, disse Riggio, vi era un tale “Zio Tony”. La Dia, ha detto la teste prima che la deposizione fosse rinviata al prossimo 14 dicembre, lo ha individuato in Antonio Mazzei.
La deposizione della Calandrino
In precedenza a salire sul pretorio è stata la dottoressa Cinzia Calandrino, oggi provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria per la Sicilia e nel 1993 coordinatore dei servizi della segreteria generale presso il Dap. Rispetto a quanto disse alla Procura generale il 28 ottobre 2019 oggi in aula ha detto di ricordare di aver visto la nota riguardante la segnalazione Sisde che segnalava che Riina, con l'ausilio di alcuni agenti penitenziari, avesse a disposizione un telefonino per parlare con l'esterno. “Ricordo questa nota che secondo me aveva una particolare urgenza - ha detto - In assenza del vice capo (al tempo Di Maggio) mi resi conto che era una nota che doveva essere lavorata ed informai l'allora direttore generale dei detenuti, il consigliere Filippo Bucalo”. Spiegando il motivo per cui ha ricordato il dettaglio in un primo momento ha ribadito di “ricordare che ci fosse la nota, ma non il contenuto esatto”.
Rispetto a quanto testimoniato dall'ex funzionario Dap Calabria, rispetto ad una relazione scritta sulla vicenda in cui si lamentava che la nota non fu trasmessa all'ufficio detenuti, la dottoressa Calandrino ha ribadito di “non ricordare assolutamente nulla”. E alla domanda se di quella nota parlò anche con Di Maggio la teste ha risposto in maniera affermativa per poi precisare che “si tratta di una deduzione logica, perché io ho il dovere di dire a lui tutto. Ritengo di averlo fatto e di non aver avuto rimbrotti. Non ricordo una reazione particolare del consigliere Di Maggio”.
Foto © ACFB/Imagoeconomica
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